sabato, novembre 07, 2020

Il fascino moderno della vulnerabilità

St. Vincent (Annie Erin Clark) a proposito della creatività, nel 2020, scrive “In my career, I’ve learned that in order to connect with other humans, one must embrace vulnerability, cherish it, and lean into it”. Vasco Brondi (Le Luci della Centrale Elettrica) nella sua canzone “Qui” del 2017 scrive e canta nel ritornello questa frase meravigliosa: “È un superpotere essere vulnerabili”. Vulnerabilità. È una nuova parola chiave. Mi sono chiesto se sia io a cercare (e quindi a trovare) quelle che mi sembrano le tracce di un’idea a me sempre più cara o se effettivamente un’estetica nuova stia iniziando a permeare la nostra società, la nostra cultura, la nostra arte, le nostre vite. Muoviamoci indietro di qualche anno. Non serve andare tanto indietro per imbatterci in una retorica monolitica, di sicurezza figlia della forza, di stabilità figlia di equilibri statici, di modelli fissi, inscalfibili, profondamente funzionali. Tutto ciò che metteva in discussione questi equilibri era visto come negativamente caotico e improduttivo. Avevamo “l’uomo che non deve chiedere mai”, “la donna in carriera”, "Un punto sei, che non ruota mai intorno a me”, Avevamo le persone “tutte d’un pezzo”. Avevamo la certezza onnipervasiva di qualsiasi mono-. Altro che tutto d’un pezzo, io mi sento più che altro un mosaico, in continuo divenire, e “detesto il chiché dell'uomo che non deve chiedere mai, dato che se non chiedi non sai” (Caparezza, “La mia parte intollerante”, 2007). Il recente passato è dominato da un fascino monolitico, da vite di successo costruite nella certezza della pietra: i sedicenti vincenti si arroccavano nell’inespugnabile fortezza della propria forza. Vulnerabile voleva dire distruttibile, fragile, e quindi debole. Distogliere lo sguardo significava perdere tempo e integrità. Siamo tuttora figli di quell’estetica, di quella retorica e di quella cultura, tanto che ancora oggi tendiamo a confondere la vulnerabilità con la debolezza. Ma questi sono tempi di sabbia, dobbiamo essere veloci a capirlo. Se guardiamo la sabbia con gli stessi occhi con cui guardiamo la pietra ci appare fragile, ci appare poca cosa. Ma poi a un certo momento capisci che la sabbia ha altre qualità. La sabbia può essere mescolata con altra sabbia. La sabbia è discreta per costruire, ma è ottima per ricostruire. La sabbia è accoglienza e approdo. La sabbia è la fantasia di un castello sulla spiaggia. La sabbia è fragile, ma può veramente essere distrutta? E più penso a questa cosa più mi sento a mio agio in questo mondo nuovo. Un mondo in cui vale molto più dire “mi manchi” che “non posso stare senza di te”. Vulnerabile è molto più vicino a “permeabile” che a “debole”, e io stesso mi sento affascinato, e perché no affascinante in un modo diverso. È un fascino che non vede le lacrime come sfocature ma come caleidoscopi, che vede la fragilità non come difetto ma come profonda e autentica condivisione di umanità, che vede il dubbio non come avversario ma come nuova fonte di domande, che vede la vulnerabilità come raffinata forma di condivisione, che aborrisce le dicotomie e adora le sfumature. Essere vulnerabili è davvero un superpotere che molti, ancora, non sanno riconoscersi.

venerdì, luglio 17, 2020

Anna Pardini di Stazzema

Quando si sente recitare il Padre Nostro a mezzanotte è un presagio di morte.
Per me è l’evocazione di una promessa: scavare verso la vita.
Si dice che i primi quaranta giorni di un bambino siano i più difficili. Per me sono stati gli unici, da viva.
DON! DON!
Padre nostro, che sei nei cieli.
Puoi restituirmi quel cielo che non ho mai visto, azzurro oltre al nero della paura?
DON! DON!
Sia santificato il tuo nome.
Il mio nome è Anna Pardini, sono nata il 23 Luglio 1944.
DON! DON!
Venga il tuo regno.
Il mio regno è Sant’Anna di Stazzema, un paese sommerso dal terrore di morire, dalla necessità di scappare, dall’orgoglio di resistere. La mattina del 12 Agosto sono in braccio a mamma Bruna. Sono al sicuro, piango. Arrivano i nazisti, ci spingono contro il muro. Non so ancora formulare i pensieri, ricordo le sensazioni. Mamma. Mi abbraccia. Grida. Respiro. Trema. Mamma. Mi stringe. Urla. Freddo. Spari. Mamma. Mi lascia. Mamma. Solitudine. Mia sorella Cesira. Braccia. Nascondersi. Respiro. Speranza. Paura. Sangue. Odore di proiettili. Ne ho sette in corpo. Cesira si salverà, io no. Morirò venti giorni dopo.
DON! DON!
Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Da morta continuo a contare gli anni, ne ho settantacinque e condivido un giardino sotterraneo con i miei amici. I vivi lo chiamano cimitero. Siamo quasi tutte vittime dell’eccidio di Sant’Anna.
Ci sono Velio e Wilma Bertolucci, che continuano a giocare a nascondino nella speranza che essere trovati torni a essere un divertimento. C’è Flora Bernabò, un sorriso bianco come il corpo e il sangue delle Alpi Apuane.
La mia migliore amica è Norma Bertelli, che insieme a sua sorella la notte prima della strage stava con il naso incollato al cielo ad avvistare le stelle cadenti. Non ha mai smesso di esprimere desideri. Uno di questi è diventato la mia promessa. “Scava verso l’alto Anna, vorrei vedere le stelle. Io non posso: una mitragliatrice ha tranciato le mie mani”.
DON! DON!
Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
La mia quotidianità è la vita delle mie sorelle. Abbiamo figli, nipoti, sogni. Adele ha raccontato la nostra storia a tante persone. Siria ci porta sempre i fiori. A Cesira hanno dato la medaglia d'oro al valore civile, ricordo le sue braccia che hanno provato a salvarmi. Scavo grazie alla forza del ricordo di quelle braccia. Il nostro pane quotidiano è la memoria, dimenticare sarebbe come morire ancora.
DON! DON!
E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
La tentazione, talvolta, è interrompere questo rituale che può risultare grottesco. Ma io continuo, Norma, perché ti ho promesso di scavare, ti ho promesso di provarci tutte le notti, dopo che il campanile termina i suoi dodici rintocchi. Scavo, verso le stelle che non potremo mai vedere. Scavo perché sono ostinata, scavo perché sono leale, scavo perché mi nutro di desideri inespressi.
Scavo perché sono Anna Pardini di Stazzema.
Amen.

(ecco il link alla LIVE in cui se ne parla (circa dal minuto 22:58) e Carmen Laterza legge il racconto).

giovedì, maggio 07, 2020

Tra Me e Me

Tra me e me
C’è uno spazio infinito.
Sento un battito fermo
Lontano da ogni forma di esistenza.

È il mio Big Bang personale
Prima dello scoppio
Prima della scissione degli attimi.
Le mie caricature di eternità
Non modificano il disegno del tempo
Tra me e me.

Qui, fuori dal tempo,
Lontana dagli spazi conosciuti,
Vorrei metterti a tuo agio,
Procurarti un po’ di compagnia.
Ma niente, certe volte ci sei solo tu
Tra me e me.

Quando esploderò
Troveranno frammenti di te
A illuminare l’universo
E nessuno potrà raccontare
Come nascono le stelle
Tra me e me.

giovedì, febbraio 27, 2020

Contenimento

Ho detto ti amo nell’incavo del braccio
Piano, per non farti sentire
male
Piano, per potermi immaginare
che hai detto ti amo nell’incavo del braccio
Piano, per non farmi sentire
male
Fruscìo disturbato di amanti
Radioamatori timidi
Continuiamo a dire passo nell’incavo del braccio
Piano, per non chiudere mai.

venerdì, febbraio 07, 2020

Firmamento

Tu hai messo le stelle
Io ne ho fatto costellazioni
Tu hai messo la magia
Io ne ho fatto illusioni

In fondo a questo cielo buio
Se chiudi gli occhi
Se guardi bene
C’è il nostro firmamento.

sabato, luglio 06, 2019

Ho deciso di non pensarti più

Ho deciso di non pensarti più.
Penso ad altro.

Stamattina, abbraccio morbido, ho baciato il cuscino.
Ho baciato il caffè, in punta di labbra.
Ho baciato lo spazzolino, rinfrescante.
Ho baciato le chiavi, per non rimanere fuori.
Ho baciato l’ascensore, lottavo, piano.
Ho baciato il giornale, gesto quotidiano.
Ho baciato l’autobus, con trasporto.
Ho baciato tante ore al lavoro, è stato straordinario!
Ho baciato un piatto di spaghetti, un primo, bacio.
Ho baciato ancora l’ascensore, saliva.
Ho baciato un film, in lingua originale.

Eri sempre tu.
Ho baciato te, mentre ti toglievo dai pensieri.
Ho deciso di non pensarti quasi più.

venerdì, settembre 14, 2018

L'Ultimo Piano

Hai sceso
Dandole il braccio
Almeno un milione di scale.
Io no.
L’ho incontrata in ascensore, una volta.
Mi è salita
Piano piano
Fino allo Stop,
Fino all’allarme,
E oltre.

giovedì, giugno 21, 2018

Terra, terra, terra

Il carro funebre fermò con discrezione la sua marcia. Quattro uomini scaricarono il feretro e lo deposero proprio in mezzo al silenzio della folla. Prese parola un uomo vestito da prete, che incominciò a dedicare alla defunta generiche parole di cordoglio. Polvere alla polvere. Terra. Era una brava persona. I quattro uomini calarono definitivamente la bara nella fossa. Sembrava un film americano, invece era il cimitero di Lampedusa. Terra.
“Sì, ma come è morta?” – bisbigliò alla vicina una donna anziana.
Le prime manciate di terra interruppero la regolarità lucida e scura del legno della cassa.
“Un’insegnante. E basta! Che importanza ha il colore della sua pelle?” – sussurrò stizzito un uomo, guardando con la coda dell’occhio verso l’amico in giacca e cravatta.
La parola passò a un gruppo di uomini sui trent’anni, che in un italiano stentato continuavano a ripetere “la nostra prof” accanto a parole emozionate e semplici. Ognuno gettava terra sulla bara finché la terra scura non riempì ogni molecola di ossigeno. Terra.
“Erano suoi studenti, insegnava italiano” – sibilò sommessa una voce dietro a un elegante cappello di paglia.
“Sì, ma come è morta?” – chiese un ragazzo che la conosceva solo indirettamente.
Una donna sulla quarantina piangeva più di tutti. Inconsolabile e liberata.
“La mia Stefy! La mia Stefy!” – ripeteva a mezza voce, come se recitasse un mantra, sola davanti al grande mare.
Arrivato il suo turno, la donna sulla quarantina lanciò terra sulla terra, e poi ancora terra, terra, un fiore, e poi ancora terra. Non riusciva a parlare, ma poi con voce rotta sembrava ripetere a parole l’incessante rituale di quel gesto.
“Terra, terra, terra, è stato il suo primo sogno. Mare, e poi terra, terra, e ancora terra”.
“Sì, ma come è morta?” – chiese una ragazza che passava da lì quasi per caso.
“Sì, ma come è vissuta?” – non chiese nessuno.

martedì, gennaio 23, 2018

Oggi ho guardato i tuoi draghi

Oggi ho guardato i tuoi draghi.
Ho preso appunti.
Minacciano e proteggono i tuoi sogni, ho scritto.
Sono tutti troppo impegnati a essere distratti.
E bene educati.
A non svegliarti, a non ferirti.
A spacciare foto sfocate di te.
Tranne uno: mentre sognava i tuoi organi interni
ha iniziato a starnutire.
Incendiandoti, quasi per errore.
E nel sonno rideva, rideva, rideva.

domenica, agosto 13, 2017

Feritoia

Ti guardo, sei ferita
Sei ferita e feritoia
Feritoia
quando guardo - e ti attraverso -
i nostri amori stretti
(sono lo stesso? Il tuo amore, il mio amore? Li guardo passare)
Ferita
quando sgorghi il mio sangue
vivo
che brucia e ti veste,
che assaporo e non fermo
(amare, emorragie)
Ferita perché resti, ferita, sulla pelle,
e sì ti prego resta,
feritoia per guardarti passare.
Passa
però, ti prego,
non mi passare mai

venerdì, marzo 31, 2017

Piccola storia di Lisbona - DUE


1 Novembre 1755. La terra trema a Lisbona. Tutto il pianeta scarica le sue indifferenti bestemmie di morte in uno strano giorno di Ognissanti. Ovunque, a Lisbona, c'è un prima e c'è un dopo. Ovunque, nel mondo, c'è un prima e c'è un dopo. Prima del terremoto. Dopo il terremoto. Quando si ascolta il Fado si ascoltano due storie contemporanee: la maestosa dolcezza della storia raccontata, prima, dal cuore, e la tragica amarezza della storia vissuta, dopo, dal corpo. È una scoperta d'amore che dal primo entusiasmo sa già di nostalgia. Prima del terremoto. Dopo il terremoto.

giovedì, marzo 30, 2017

Piccola storia di Lisbona - UNO


Tago, che impazzisce e non decide se essere fiume che incontra trionfalmente il mare o mare che inspira con nostalgia il flebile ricordo di un fiume. Tago che illumina di una luce d'acqua tutte le liquide vie di Lisbona. Tago da amare, Tago da impazzire.

giovedì, marzo 09, 2017

Tutto da Dichiarare


Testo di Francesco Robbiano
Regia di Luca Rinaldi

Cast:
Marie - Camilla Hardonk
Il Doganiere - Giovanni Drago
Josephine - Isabella Loi
Maurizio - Alessio Sè Zirulia

Rappresentato all'interno dell'evento "Dai trattati di Roma alla generazione ERASMUS" organizzato da Desi Slivar il 9 Marzo 2017 al Teatro Instabile di Via Cecchi, con attori della scuola di recitazione La Quinta Praticabile. La canzone "Niente da Dichiarare" è di Antonio Dimartino.

mercoledì, dicembre 14, 2016

I punti cardinali della sovrastima

Oggi parlerò di alcune cose belle ma sovrastimate. Sovrastimate, però belle. Va beh, belle e sovrastimate, perché innalzate molto (troppo?) spesso a miti, ad assi pigliatutto del nostro panorama psico-cultural-turistico, talvolta oscurando ciò che rischia di soffocare nei loro coni d’ombra.

Est – Le Cinque Terre
Il sole della nostra sovrastima nasce a est, nel levante ligure delle Cinque Terre. Bellissime, stupende, non serve neanche magnificare lo splendore arroccato di Manarola o il porticciolo tascabile di Vernazza… Però tu, cara sessantenne del Minnesota caro trentenne finlandese cara ventenne portoghese caro ottantenne portoricano che a metà ottobre zampetti per il centro di Monterosso vestito da scout picchiettando i bastoncini da sci sull’asfalto per dare ritmo e senso al tuo incedere, non te l’ha mai detto nessuno che cinquanta km più a ovest c’è Genova, la città più bella del mondo? La risposta è semplice. No, non glielo ha detto nessuno. Il suo Tour Operator ha organizzato Milano – Venizia – Florencie – Cheenkueterrey - Milano e vaffanculo a Genova. Tanta troppa gente lambisce Genova e tira dritto. E allora andiamo avanti anche noi.

Sud – “La Cura”
La sovrastima continua a scaldarci con i suoi raggi dall’esotico sud de “La Cura” di Battiato. Fantastica, onirica, poetica, dolcissima, cosmica, immancabile in ogni compilation preposta a dimostrare alla nostra amata quanto siamo sensibili e romantici… Però c’è questo genio capace di superare le correnti gravitazionali (senza spifferi), lo spazio, la luce, i ciclisti la domenica mattina sull’Aurelia, Usain Bolt, Beep Beep, il Razzo Egidio della Pimpa, insomma una specie di supereroe, che si trova a vagare (un po’ sorpreso, per la verità) per i campi del Tennessee (???). Ora, io del Tennessee conosco Chattanooga, dove il sole ti spacca in quattro, e la soluzione è soltanto una: mmm-mmm! Magico Lipton! E comunque no, non ho “fiori bianchi” per te, anzi mi sa che hai già un tantino esagerato. Poi d’accordo, mi dici parole stupende, ma quando mi prometti che mi proteggerai dai fallimenti che per mia natura normalmente attirerò io una palpatina agli zebedei me la do, così per sicurezza. Mi stai mica dando appena appena un attimo del portasfiga? Dici che conosci le leggi del mondo e me ne farai dono. E chi cacchio sei, Piero Angela in pieno spirito natalizio? Ma comunque, a caval donato… Andiamo avanti, suvvia.

Ovest – “Il Piccolo Principe”
L’ovest della nostra sovrastima tramonta con le luci oblique de “Il Piccolo Principe” di Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, noto alla maggior parte di noi solo per avere scritto questo racconto, e alla minor parte di noi solo per avere scritto questo racconto. Anche sua mamma lo chiamava "Ehi tu, che hai scritto il Piccolo Principe, vieni qui!", oppure per chiamarlo con il nome completo doveva andare su Wikipedia. L’autore ci delizia con pagine di delicate immagini, molto poetiche ed evocative. “I grandi non capiscono mai niente da soli. Ed è faticoso, per i bambini, star sempre lì a dargli spiegazioni”. Bello come spunto, magari anche se non ce lo ricordi ogni dieci righe fa lo stesso eh Antoine! Comunque niente da dire, un racconto davvero ben riuscito, talvolta eccede nell’allegoria, può risultare a tratti un pelino stucchevole ma alcune immagini sono azzeccatissime e stanno davvero a cuore anche a me… la pecora, la rosa, e soprattutto la volpe; è comunque un libro di nicchia che vi consiglio di acquist… Come? Non è di nicchia? Va beh un libro per bambini che però bisogna leggere da grandi che però dovrebbero essere bambini perché i grandi non capiscono che vi consiglio di acquist… Come? E’ il terzo libro più letto al mondo dopo il Capitale e La Bibbia? Perbacco, con buona pace di Marx e Dio qui bisogna puntare al gradino più alto! E allora forza, piazziamoci tutti un bel Piccolo Principe sotto la maglietta e andiamo a dormire, che intanto si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi! E procediamo.

Nord – “Volere è Potere”
E’ notte, ma la nostra sovrastima non dorme. Nel silenzio dei nostri pensieri, la mezzanotte della sovrastima rintocca sul nord della frase “Volere è Potere”. Quando abbiamo cercato energie per andare avanti, questa frase ci ha sempre accompagnato, volenti o… nolenti. E’ una frase bella, che trasforma come in una perfetta alchimia un’immensa energia vitale in un’altra immensa energia vitale. Dopo lunghe meditazioni, percorsi di saggezza, crescite interiori e dubbi amletici, le riflessioni su questa frase si possono riassumere così: Volere è Potere Stocazzo. Da ragazzi ci piace crederlo, ci piace pensare che l’inerzia del mondo possa essere addomesticata dalla nostra volontà. Il problema è che poi ci crediamo davvero, e sovrastimiamo anche il nostro impatto sul mondo, in un’altalena che oscilla beffarda tra l’onnipotenza e la disillusione.

Ma a noi non importa, il mare davanti a Riomaggiore ci proteggerà dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontreremo per le nostre vie, dal boa che inghiottirà i nostri elefanti, dai nostri deliri di onnivolenza e onnipotenza, e dalle nostre stesse sovrastime, che vedremo bene solo con il cuore. Poiché l’essenziale, a occhio, è davvero invivibile.

martedì, novembre 15, 2016

Invito a pranzo con sorpresa

- Ti invito a pranzo da me.
- Grazie.
- Vieni su per l'una?
- È grande?
- Cosa?
- Non hai detto superluna?
- Mi è passata la fame.
- Vengo lo stesso?
- Piena. Sono piena.

martedì, novembre 08, 2016

Still water

In order to transform it into something else, I added some bubbles to the still water.
But it is still water.

martedì, ottobre 11, 2016

Temporale in quattro lampi

1) Ci sono sempre i lampi, quando ci vediamo.
2) Lampi e lampioni a rischiare, a rischiarare, a non vederci più.
3) Ci sono sempre i lampi, quando ci lasciamo.
4) Intermittenti, lampeggiamo indecisi tra lasciarci andare e lasciarci andare via.

martedì, aprile 19, 2016

Tutto Scorre

Le donne grasse che corrono sul lungomare vorrebbero scappare via dal loro stesso peso, diretto sempre e comunque verso il centro della terra. E sognano di essere farfalle. Le farfalle pigramente stropicciano le ali senza quella fretta di non morire con cui vorremmo dipingerle. Ma delle donne grasse sognano quell'ineleganza del passo che permetterebbe alle loro vite di emettere un qualsiasi rumore. Le creature si scambiano i sogni, e nel frattempo tutto scorre.

mercoledì, marzo 02, 2016

La complessità delle cose

Facciamoci un grande favore. Rispettiamo la complessità delle cose. Chi semplifica una questione immotivatamente complicata la rende più comprensibile, ma chi semplifica una questione naturalmente complessa la sfregia, la snatura, la impoverisce, la depaupera. Gli slogan sono belli per la pubblicità, ma pessimi per l'anelito alla comprensione e alla conoscenza. La sineddoche è un'interessante figura retorica, ma il suo utlizzo per banalizzare le parole è solo una brutta figura che ci facciamo di fronte a una realtà che non stiamo rispettando nella sua interezza. E allora una donna non è un utero in affitto, né una vulva in prestito, né una mammella in comodato d'uso. Rispettiamo la complessità delle situazioni, delle parole, delle scelte, delle persone. Talvolta ci vuole tempo, o profondità, o entrambe. Oppure nel frattempo sospendiamo i giudizi.

giovedì, febbraio 18, 2016

Discorso al funerale di Sandro

Caro Sandro, sei uno degli uomini più belli che io abbia mai avuto la fortuna di conoscere. In ogni momento, come un fiore bellissimo che non deve sforzarsi per profumare, sapevi essere senza sforzo la precisa emanazione di te stesso. Talmente umano da apparire talvolta sovrumano, avevi un dono speciale, quasi magico: sapevi alleggerire costantemente la realtà, senza mai impoverirla. E così riuscivi con elegante naturalezza a cogliere, e ad accogliere, ogni persona, ogni situazione, in maniera profondamente colorata, facendo vibrare le corde della tua emozionabile e allo stesso tempo arguta sensibilità. E così, sempre dissacrando tutto, senza mai banalizzare niente, ci trovavamo spesso ad inventarci battute, eleganti e spiritose, per prenderci un po’ gioco della nostra amata realtà. E allora anche oggi mi chiedo che cosa diresti, se ti sembrerebbe opportuno fare qualche battuta anche in questo momento di doloroso commiato. Credo di sì. Forse ti raccomanderesti di controllare che il microfono sia effettivamente collegato alla "cassa"? O forse ti lamenteresti del tuo vestito, costoso e scolorito, dicendo che è "caro e stinto"? O forse diresti che "ci hai lasciato le penne" in modo che noi possiamo ancora scrivere qualcosa per te? O forse, ancora, diresti che la vita sa giocare meravigliosamente a poker, ma poi, proprio alla fine, "bara"? O forse sono io che mi ostino a fare ancora un sacco di battute sciocche perché vorrei sentirti ancora una volta ridere con me. Grazie Sandro, ti voglio tanto bene.

giovedì, dicembre 31, 2015

New Year's Eve

- Happy new years, Adam
- Happy new years, Eve
- I am hungry
- What about a snake?
- I'd prefer an Apple
- So commercial, and too expensive
- Passiamo all'italiano?
- Meglio
- Allora mela o serpente?
- Mela. Mela detto lui
- Gnam
- Ops
- Peccato
- Almeno è stato originale
- Buon anno Adamo
- Che Dio ce la mandi buona
- Magari non ironizzerei
- Porca te

domenica, agosto 30, 2015

Solo per un attimo

Era così bello stringere la tua mano solo per un attimo
che se fossi un artista forse l'avrei ritratta.

lunedì, luglio 27, 2015

Viaggio di Nozze in Perù, Bolivia, Cile

Allora, due premesse, anzi due richieste.
1) Se non lo ha già fatto il vostro browser di default, visualizzate il filmato in HD (bottoncino HD a destra in basso), perché non in HD perde molto
2) Se non avete 15 minuti per guardare questo video, vi pregherei di non guardarne solo pochi minuti. Vi chiederei o di guardarlo tutto o di non guardarlo, come piacere personale (non è palloso).
E allora pronti? Via!

giovedì, luglio 16, 2015

Polpo di scena

Talvolta cucinare può avere inaspettati risvolti erotici. Per esempio ieri ho provato a cucinare il polpo. Mi è venuto durissimo.

sabato, maggio 23, 2015

Sirenetta

C'era molta ressa stamattina, era pieno di pittori che volevano ritrarre la Sirenetta. All'inizio hanno dovuto fare la coda.

lunedì, maggio 04, 2015

Pensare a se stessi

Quando si pensa al fenomeno dell'immigrazione clandestina bisogna pensare a se stessi.
Certo.
Se stessi male.
Se stessi dall'altra parte del Mediterraneo.
Se stessi per lasciare la mia terra.
Se stessi rischiando la mia vita in cambio di un sogno.
Quando si pensa al fenomeno dell'immigrazione clandestina bisogna pensare a "se stessi".

martedì, aprile 28, 2015

mercoledì, dicembre 31, 2014

Fuori da questo abbraccio


Fuori da questo abbraccio
Vedo due persone ferme, abbracciate.
Le mani piene e ferme.
Gli occhi uniti e fermi.
Si trattengono, come un respiro,
e come in un respiro
si soffieranno via.

lunedì, dicembre 01, 2014

Il Mulino Avvento

Circa dieci anni fa scrivevo questo piccolo racconto. Credo che lo modificherei parecchio, ma oggi preferisco riproporlo così.

Trapani, mulino alle saline
(foto di Cristiano Corsini, https://www.flickr.com/photos/corscri/2735425680)

Lunedì 1 Dicembre.
Apparentemente senza sforzo, senza un ruscello che ne avesse lambito, di traverso, le pale, senza un refolo che ne avesse compresso significativamente lo spazio a lui circostante, inventandosi un’inerzia, il mulino incominciò lentamente ad accarezzare l’aria.
I grandi gridavano “Prodigio!” e si guardavano tra loro. I bambini gridavano “Si muove!” e guardarono il mulino. Ma l’elemento fondamentale di quella meraviglia non era la sua imponenza. E non era neanche l’elegante povertà (c’è chi avrebbe detto: essenzialità) delle sue dodici pale. Era la lentezza con la quale esse sembravano accumulare e misurare l'attesa.
Il primo giorno i bambini potevano toccare la pala più in basso. Vi appesero un sacchetto, di cui non rivelarono il contenuto. Il martedì 2 dicembre la pala, nella sua rotazione, si staccò da terra e anche i grandi potevano passare sotto l’elegante galleria formata dalle prime due pale. Il giorno seguente fu il turno della seconda a passare vicino a terra. I bambini percepivano l’attesa come un battito forte del cuore a scandire un movimento lentissimo, a protrarre e gustarsi un’emozione. I grandi calcolarono che a quella velocità un giro sarebbe stato completato in ventiquattro giorni, e cioè esattamente a Natale.
Tutti i giorni dispari la pala del mulino che passava vicino a terra veniva fregiata e addobbata con doni ed oggetti colorati, mentre nei giorni pari si poteva guardare, oltrepassare, a volte anche immaginare il mulino, o lo spazio a lui circostante. Si poteva respirare insieme a lui.
All’ottavo giorno un vecchio disse che bisognava trovargli un nome. Spiegò che finché le cose e le persone non hanno un nome proprio, più indifferente ci appare la loro presenza, e la loro assenza.
"Dare un nome - spiegò il vecchio - è un po’ come dare vita: tutte le formiche che nella nostra vita abbiamo incontrato, e forse calpestato, sono la stessa formica, fintanto che non distribuiamo dei nomi. E allora ci sarà la formica Cinzia: godremo nel vederla mordicchiare un pezzo di una briciola enorme, e soffriremo nel vederla arrancare all’affannosa ricerca di sopravvivenza, sommersa da una gigantesca goccia d’aranciata".
Quando si trova una vita, del resto, si sa anche che si piangerà una morte.
Così, fu chiamato Mulino Avvento.
I bambini, si sa, difficilmente tengono un segreto, e presto rivelarono il misterioso contenuto del sacchetto appeso alla prima pala, che ormai di giorno in giorno si avvicinava sempre di più al cielo. Nel sacchetto c’erano tutti i loro desideri, tutti i loro sogni.
Grande e diffusa fu l'emozione di vedere il sacchetto dei sogni alzarsi, fino a quasi perderlo di vista, ma anche quando il sabato 13 Dicembre giunse al suo punto più alto crebbe l'emozione per l'attesa di vederlo tornare indietro, gradualmente avvicinandosi a terra. Il vecchio con la barba disse che in fondo ogni emozione vive di due momenti, che spesso quasi coincidono.
"E' un po' come un respiro, l'emozione vola verso una persona, un luogo, una sensazione lontana e infinita, con una velocità tale da poterla toccare ad occhi chiusi, ma inevitabilmente torna, per entrare dentro la nostra pelle, ed abitarla, sia pure per un attimo".
Il giorno di Natale, naturalmente, vi fu grande festa, e la prima pala, tra l'ammirazione degli sguardi lucidi, completò il suo giro. Completò la sua vita. Depose il sacchetto ai piedi dei bambini, che festosi iniziarono a frugare con meraviglia. Accanto ai propri sogni trovarono gioia, bellezza, giochi, ma non si erano trasformati, perché i sogni non sanno morire. Alla peggio vengono dimenticati, e non certo dai bambini.
"I desideri - disse il vecchio con la barba ormai bianca - per essere immortali vanno coltivati, e non distrattamente esauditi".
"I sogni sono i colori dell'attesa - aggiunse indicando il mulino (e tutti guardarono il mulino) - e l'attesa è la vera meraviglia del Natale".

venerdì, ottobre 03, 2014

Pipistrello cadente

Ho visto una stella cadente,
L’ho vista davvero.
O forse era un pipistrello
Ingordo e strapieno di lucciole
Che cadeva in verticale
Per due secondi.
Che bello cadere in verticale
Ha pensato.
Che cosa si prova a volare?
Si è chiesto.
Una meravigliosa sensazione
Ha sussurrato.
Poi all’improvviso ha ricordato
Che in effetti vola quasi sempre
E come tutti i pipistrelli
Conosce benissimo la sensazione del volo.
Allora ha digerito le lucciole e si è spento
Illuminato, meravigliato, ridimensionato.

Vale lo stesso?
Posso desiderare un desiderio
Anche se, anziché stella
Ho davvero avvistato un pipistrello?
Forse per pipistrellica empatia
Posso desiderare un desiderio a testa in giù
Di quelli strampalati senza logica,
Per esempio desidero
Che voglio cedere il desiderio al pipistrello.

Anzi, è proprio questo il desiderio,
Desidero che il pipistrello sappia volare
Ma che ogni tanto lo dimentichi
E quindi si sorprenda, ogni tanto
A desiderare e cadere
Perché poco fa, mentre cadeva
Ebbro e strapieno di lucciole ed oblio
Ha disegnato per un attimo
Il cielo di bellezza.

giovedì, settembre 11, 2014

Ice Bucket Challenge - secchiata sì, secchiata no?

Ice Bucket Challenge - secchiata sì, secchiata no?
Dal 25 al 27 Agosto 2014, tre giorni di dilemmi semiseri fino all'(in)evitabile epilogo.

Giorno 1

Giorno 2

Giorno 3

domenica, agosto 17, 2014

Silenzio!

-Perché proprio qui?
Domandò con un filo di voce, che nel vuoto della chiesa sentì risuonare come una preghiera sommessa.
-Silenzio, avvicinati.
Nessuno, in effetti, disse queste parole, ma Linda, in silenzio, si avvicinò. Fece scricchiolare due panche di legno, ed ebbe il tempo di ascoltare il ritmo del proprio respiro prima di accostarsi al confessionale. Pareva la protagonista di un incerto rituale, di cui lei stessa non riusciva a comprendere il senso. A quell'ora non era ragionevole sperare di trovare qualcuno, ma dentro al confessionale l'abito nero del prete si confondeva con l'oscurità della notte e con lo sfondo dei pensieri di Linda. La ragazza non sembrò troppo sorpresa. Si sedette, e tacque. Scelse il silenzio come raffinata forma di confidenza. Passarono molti minuti in cui non ci fu che ostinato silenzio. Dall'esterno, la scena sarebbe apparsa immobile. Dall'interno, un terremoto. Dall'interno, due terremoti: a Linda parve infatti di udire una voce provenire da dietro la grata.
-Hai ragione Linda, le parole sono vuote quando si travestono da parole. Abbracciamo parole, nutriamo parole, parliamo di parole alle parole, riempendo il nulla di nulla e chiacchieriamo via dal mondo. Hai presente quel discorso dell'amare il prossimo tuo?
Linda fece scivolare via una lacrima, e annuì.
-Ecco, per esempio io ti amo. E davvero mi sembrerebbe un ottimo inizio e invece, sono rimasto fermo a capire dove ho sbagliato. Linda, dove ho sbagliato?
Linda iniziò a piangere. Avrebbe voluto dire:
-Hai sbagliato a non avermelo mai detto! Hai sbagliato a non esserci! Hai sbagliato ad esserti ammazzato! E sbaglio io a continuare ad ascoltare questa maledetta registrazione!
Ma invece si accontentò di continuare a piangere: qualunque parola si sarebbe dispersa, puro lugubre suono nel silenzio della chiesa deserta.

giovedì, gennaio 02, 2014

Felice Anno Vecchio!

Vorrei augurare a tutti un buon 2013. Avete letto bene, 2013. Perché, certo, è bellissimo pregustare i desideri, ma è altrettanto meravigliosa l'arte di saper degustare i ricordi. E farli luccicare di bellezza, almeno un po'. E allora... Felice anno vecchio!

venerdì, dicembre 27, 2013

Imbuto

Imbuto.
Concentrico.
Distillato di futuro.
Invita il tempo.
Lo assapora.
Lo trattiene.
Con finta pigrizia e con voglia.
Lo convoglia con grazia verso l'uscita.
Sempre aperta.
Rotea il sapore del suo procrastinare.
L'imbuto contiene un viaggio.
Dante attendeva all'uscita
La luce delle stelle.
L'imbuto non attende nulla.
L'imbuto si nutre
dell'attesa che crea.

martedì, settembre 24, 2013

Sbilanciarsi

Sbilanciarsi è saper perdere il proprio equilibrio, anche solo per un attimo.
Un attimo importantissimo di coraggio in cui il nostro baricentro incontra una vertigine. E lì impariamo a cadere, a volare, impariamo a crescere e viaggiare. Un passo necessario fuori dalla bilancia delle nostre certezze, fuori dal bilancio delle nostre vite.

(immagine tratta da http://www.flickr.com/photos/frobbiano)

mercoledì, luglio 03, 2013

Ti icso

Ti icso.

Ti icso proprio nel senso di ics,
cioè qualcosa
un po' tipo che ti amo ma non proprio.
Ics come un sentimento variabile,
di temporali soli e soli senza tempo,
e un sentimento si sente non si prova.

Ti icso perché si va in scena nella vita
In incognita e senza prove
Senza certezza di non sbagliare.
Tante ics dentro a espressioni di stupore,
Che non ho mai saputo calcolare.

Ora però
lo so cosa vorrei,
con estrema chiarezza.
Vorrei che tu
almeno un po'
mi ipsilonassi.

domenica, giugno 16, 2013

Occhiali da svista

(immagine di Alessandra Placucci, http://www.aplacucci.it)

Ogni tanto indosso gli occhiali da svista, per scartare alato un cavallo in regalo, e galoppare l’aria sul binario sbagliato, come un incerto vagabondo libero di errare, mentre non cerco la verità.

venerdì, maggio 31, 2013

Epica Erotica Star

“Che gran Troia!” – esclamò compiaciuto passandosi la mano nella folta chioma bionda. Aveva appena ricevuto la sceneggiatura di un kolossal della Ohm Eros Production, e si gongolava, gonfiando come un mantice i depilatissimi pettorali, per essere stato scelto ancora una volta come attore protagonista. Del resto – pensava appoggiando lontano i suoi occhioni belli e ignoranti – chi se non io?
Achille Greco aveva collezionato tanti appellativi nel corso della sua dura e sfolgorante carriera nel cinema hard: il Mirmidone di Marmo, il Pelide senza peli, l’epico Re della tradizione orale, il Semidio Semidai, ma tutti lo conoscevano come Ahh Killer, il cecchino degli orgasmi. Leggendo la sceneggiatura, però, ben presto trovò modo di rabbuiarsi. Capriccioso come un’ottusa primadonna, si adirò funestamente quando vide che la scena di apertura, un pugnace ménage a trois insieme alle gemelline svizzere Chriss Heide e Breeze Heide, era stata affidata al suo rivale di sempre, il dotatissimo turco Agha Mennon. Che infamia, e che beffa! Fin dai tempi dell’adolescenza il piccolo Achille, quando era solito praticare autoerotismo con l’aiuto di grandi hamburger, sognava di avere rapporti carnali con delle vere svizzere, e ora l’occasione gli veniva negata per un inaccettabile sopruso. Si diresse deciso alla sede della Ohm Eros Production con la ferma intenzione di abbandonare il progetto, e così in effetti fece, lasciando il suo ruolo al collega e amico fraterno Patrizio Bassi, conosciuto nell’ambiente come Pat “Rock” Low. Quest’ultimo però, volendo emulare in tutto e per tutto le prestazioni di Ahh Killer, rimase ben presto con la schiena irrimediabilmente bloccata dopo aver girato un’intricata scena di bondage. Fu così che il nostro eroe, dal minuscolo cervello ma dall’enorme cuore, decise di tornare a far parte della squadra, e accettò di mettere nuovamente a disposizione la sua lancia per trafiggere un gran numero di troiane. Non sapeva però che un evento tanto fortuito quanto nefasto stava per condizionare la sua fulgida carriera. I patti con la produzione erano sempre gli stessi: semplici e molto chiari. Avrebbe girato qualunque tipo di scena, spogliandosi ove e quando necessario, a patto di poter tenere sempre indosso il calzino destro. Nessuno avrebbe dovuto chiedergli spiegazioni su quello che tutti avevano finito per considerare un necessario vezzo. Si apprestava a girare la scena clou, quella in cui insieme al possente Aiace Telamordo avrebbero dovuto tentare una doppia incursione tra le fila del nemico, uno con attacco frontale e l’altro aggredendo la retroguardia. Stavano cospargendosi di frumento e orzo per girare al meglio la scena di nudo integrale, quando un’avventata e ignara scostumista sfilò ad Ahh Killer il mitico calzino. Il silenzio calò improvviso, e tutti si fermarono, ma nessuno poté fare a meno di dirigere lo sguardo verso l’epico tallone scoperto. E tutti lo videro. Tutti videro un uomo possente, meraviglioso, forte e bellissimo, con un vistoso tatuaggio sul tallone destro: un tenero orsetto accompagnato dalla scritta “I love my teddy bear”. Nessuno seppe trattenere le risate. Il solo Pat “Rock” Low si morse le labbra e abbassò lo sguardo. Ahh Killer si abbandonò alla vergogna e capì subito che una parte di sé era morta. Era finito di colpo il suo orgoglio cieco, ingrediente necessario nella sua carriera di attore hard, che di fatto ebbe fine in quel preciso momento.
Oggi Achille Greco e Patrizio Bassi vivono con tranquillità e disincanto la loro storia d’amore, per troppo tempo mascherata e repressa.

lunedì, novembre 05, 2012

mercoledì, settembre 12, 2012

Il Cavaliere Non Violento

Racconto pubblicato sulla rivista Linus - Anno XLVII n.11 - Novembre 2012 - pp. 68-69 - editori Baldini Castoldi Dalai, all'interno della rubrica "Laboratorio Esordienti" a cura di Paolo Restuccia ed Enrico Valenzi, Scuola Omero.

(racconto da me scritto nell'ambito della Full Immersion organizzata dalla Scuola Omero nell'Agosto 2012)
(immagine di Luigi Annibaldi)

Dentro l’alta torre, sopra il potente drago, oltre l’erta scala e al centro dell’angusta stanza con piccola finestra vista mai, Abelina corrisponde quasi perfettamente ai canoni della bellissima principessa da salvare: è bellissima, è una principessa e soprattutto vorrebbe essere salvata.
Però è stronza.

Per esempio, la lista della spesa che oggi Abelina lascia al drago è:
  • drago ti odio
  • 2 pacchetti di sigarette gusto fragola
  • 1 crema anticellulite
  • muori muori muori muori muori
  • 1 leccalecca azzurro a forma di pene di principe
  • 1 poster di San Giorgio
  • vaffanculo drago
Dopo anni di forzata convivenza, il drago ormai conosce l’unica arma con cui può resisterle: la pazienza. Si fa scivolare addosso le beffe e gli insulti, fa arrivare alla torre tutte le sciocchezze che Abelina chiede e poi le recapita, insieme a un buon pranzo e alla biancheria pulita, nella stanza della principessa.

Negli ultimi anni sono sempre meno i cavalieri che si presentano alla torre per sfidare il drago e salvare la principessa. Quasi tutti sono disperati piantagrane in cerca di un ultimo tentativo per raddrizzare le loro vite bruciate. In genere, basta una fiammata distratta per carbonizzarli e farli precipitare verso il loro insuccesso.

Il giovane cavaliere che oggi si avvicina alla torre è il famoso cavaliere non violento: è noto nel reame per portare a termine le sue imprese con il minor spargimento di sangue possibile. Quasi sempre, neanche un ferito lieve.

Equipaggiamento del cavaliere non violento:
  • 1 scudo “Mahatma” con effige di Gandhi e scritta “I Love my enemy”
  • set di 12 frecce “Nannadoro” con punta sonnifera
  • 1 arco ecologico in legno di bambù
  • 2 bandiere bianche “Sventolin” antipanico
  • 1 libro di mantra buddhisti
  • 1 spada “Ultimaspiaggia” per situazioni di estremo pericolo
  • incenso da meditazione
- Scappa, ragazzo, finché sei in tempo. Sei bello, hai una vita di libertà di fronte a te – pensa il drago. Ma il cavaliere è qui per combattere, non c’è più spazio per i pensieri. La prima debole fiammata viene schivata agevolmente, con un movimento breve e rapido.
Un’altra fiammata, più forte e decisa, e un altro balzo, altrettanto agevole. Altre fiammate, altri fendenti, neanche un colpo a segno.
La principessa, abituata a sentire per pochi secondi gli echi di una lotta impari, poi il rumore di un rutto infuocato seguito da un silenzio vuoto di speranza, oggi è attratta dall’insolita durata della lotta. Nervosamente, aspetta.
Il drago incrocia lo sguardo del cavaliere, è uno sguardo meravigliosamente vivo.
Colpo d’ala, colpo di zampa, fiammata fortissima. Schivato, schivato, schivata.
Il cavaliere sembra danzare con il drago una fantastica capoeira non violenta, in cui nessuno colpisce nessuno. All’improvviso, il drago sente una puntura fortissima sulla lingua. Si tratta di una freccia Nannadoro scagliata dal cavaliere dopo l’ennesima fiamma schivata. Il tempo di sentirne il sapore amaro per un secondo e il drago crolla a terra con dolcezza.
– Ne avrai per un paio d’ore, lucertolone, al tuo risveglio sarò già fuggito con la principessa – sussurra il cavaliere.
Accende un bastoncino d’incenso profumato alla magnolia e si allontana con un inchino che il drago non può vedere: dorme già profondamente. Il cavaliere, euforico e senza un graffio, bussa trepidante alla porta della principessa. Sa di essere atteso, ed entra.

- Mio eroe! Finalmente! Hai ucciso quel brutto drago per me! Evviva, l’hai ucciso! – La principessa lo accoglie con un insolito sorriso.
- Buongiorno principessa, che la pace sia con voi. In effetti ho sconfitto il drago per salvarvi, anche se tecnicamente non l’ho ucciso. Ora, in ginocchio da voi, chiedo il permesso di prendervi in braccio e baciarvi, per celebrare il…
- Scusa scusa scusa come hai detto? – Il sorriso sparisce subito dal volto di Abelina – Non l’hai ucciso? Non hai nemmeno ucciso quella schifo di lucertola sputafuoco e io dovrei pure baciarti?
- Principessa, in primo luogo vorrei farvi notare che si tratta di uno dei rarissimi esemplari viventi di Lacertilia Draconis, specie in serio pericolo di estinzione – replica pacatamente il cavaliere restando in ginocchio davanti ad Abelina – e comunque a noi basta che il drago rimanga addormentato per il tempo sufficiente a scappare. Possiamo uscire indisturbati e vivere felici e contenti!
La principessa guarda il cavaliere dritto negli occhi. Uno sguardo cattivo e molto serio.
- Non voglio scappare, voglio vincere. Il drago è la mia prigione. Se mi vuoi, la tua ninnananna non basta. Devi ucciderlo.
Il cavaliere si rialza, fa una pausa per raccogliere le idee e inizia a parlare con lentezza, come se stesse leggendo un pensiero, sempre più chiaro davanti ai suoi occhi.
- Sì, speravo di potermela cavare così, e come al solito pensavo di ottenere il massimo: principessa salva, zero violenza, neanche un graffio, libertà, trionfo completo. Ma questa volta devo ammettere che avete ragione voi, principessa. La mia spada dovrà finalmente conoscere il sangue.
Il Cavaliere si gira, attraversa la stanza in direzione della porta, poi torna indietro verso la principessa, poi di nuovo verso la porta. E’ un passeggiare nervoso. Non ha mai ucciso nessuno, ma ora sa di doverlo fare.
- Sbrigati, imbecille! – strilla Abelina.
Il Cavaliere ferma il suo andirivieni e prende un respiro, estrae la spada “Ultimaspiaggia” e con un colpo netto stacca la testa alla principessa. Chiede scusa, bastoncino di incenso, si volta, esce. Si sdraia vicino al drago, piange un po’, riposa.

Quando il drago si sveglia nessuno ha bisogno di chiedere, nessuno di spiegare. Solo dopo alcuni minuti il cavaliere rompe la fragile crosta di silenzio:
- Lo sentivo che il mio destino era di liberare qualcuno. Ma non ne sospettavo il prezzo. - Ora dobbiamo andare amico, questa torre non è più casa mia - dice il drago.
Come due vecchi amici, il cavaliere e il drago escono dalla torre e si avviano lentamente verso il tramonto.

mercoledì, agosto 22, 2012

Lucertole

Un po’ sirena, un po’ donna cannone, ti farai trovare pronta ad essere sparata nel vuoto da un grido di piacere primordiale. Muoverai la coda fortissimo, surferai veloce eludendo le trappole acide del pH vaginale e ti getterai con slancio al collo dell’utero. Intorno a te vedrai arenarsi progetti destinati a non essere mai realizzati né pensati, vedrai audaci scommesse perdersi per strada, supererai piroettando flessuosa leali concorrenti e con la forza di un’idea folle entrerai in un magico mondo sferoidale, pervaso di vita. Arriverai per prima, e percepirai una forza unica, intensa, ma composta da mille vibrazioni differenti che solo anni più tardi proverai a riassumere con la parola amore, e sempre ti sfuggirà qualcosa. Imparerai tanti nomi dal suono magico, come padre, amica, figlio, amante, fratellino. Ti taglierai i capelli corti, poi guarderai il pavimento pieno di riccioli biondi e ti divertirà il fatto che non potrai mai più riaverli in testa. Almeno non quelli. Proverai a decidere che per qualche amore proprio non c’è nome. Non saprai come chiamare Lucia. Amica? Amante? Sorella minore? Questi nomi affascinanti rimarranno latenti, parzialmente disinnescati, ad approssimare vagamente il tuo sentire: ti accorgerai che ciascuno di essi avrebbe finito per cancellare i battiti degli altri. E allora deciderai di continuare a chiamarla soltanto Lucia. Piangerai spesso, e dopo una semplice delusione teorizzerai modelli, strutture, implicazioni e divieti, proverai mille alchimie e cercherai le regole per dividere l’amore dal non amore. Puntualmente, le disattenderai con leggerezza. Andrai da sola nella casa al mare, forse per studiare, forse per pensare, forse per restituire pensieri al mare. Fingerai di disinteressarti di un amore impossibile da spiegarti e lo stesso giorno ne resterai ossessionata, quasi avvelenata dalla dolcezza dei suoi battiti. Resterai a lungo nel letto grande, a pancia sotto, e sentirai il seno premuto contro il pigiama, il pigiama premuto contro il cuscino, il cuscino premuto contro il materasso, e il materasso premuto contro il battito lontano del tuo cuore.

E poi di notte sognerai le lucertole. Sognerai un predatore senza volto ma con un nome da far gelare il sangue, e le lucertole ferme, con il cuore a mille sotto il corpo immobile, lontano, e fingeranno di essere morte per non essere dilaniate. Arriveranno al punto di separarsi dalla coda pur continuando a muoverla fortissimo, agitandola lontano dal proprio corpo, come la bandiera bianca di un sogno che si vuole abbandonare. E il predatore se ne andrà via, ingannato e freddamente indifferente.

Ti sveglierai, e penserai che si tratta di una buona strategia: fingersi morti, fingersi altrove, per non farsi dilaniare dall’insostenibile presenza di un amore impossibile. Ti passerai una mano tra i riccioli, concederai uno sguardo complice al mare al di là delle tende bianche, e ti metterai a sedere sul letto. E deciderai che forse no, è una strategia che non vorrai applicare, almeno non in questa vita. Quello sarà il giorno in cui sceglierai veramente di amare. La tua storia sarà incominciata tuffandoti nel vuoto, ed è una cosa che non vorrai mai disimparare.

sabato, giugno 16, 2012

Occhi negli occhi

Mohammed è immobile. Fedele guardia del corpo del placido monarca, lo difende con la sua stazza ottusa. Di fronte a lui, Amedeo scatta in avanti con un grande balzo, e inizia a guardare Mohammed negli occhi. Poi sembra tranquillizzarsi, ma inesorabile continua la sua avanzata: un passo, un altro passo, senza mai distogliere lo sguardo. Adesso è proprio davanti al vecchio nemico, conosciuto e troppo simile a lui. Mohammed lo vede chiaramente arrivare, e con una sorta di compassionevole rispetto lo attende fermo, senza nascondere una spavalda espressione di sfida. Occhi negli occhi, la loro somiglianza è sbalorditiva. Stesso senso del dovere, stessa arroganza ottusa e determinata a guardare sempre avanti, a costo di perdersi le sfumature della vita. Tutto bianco o tutto nero, entrambi tagliano corto: le tonalità di grigio le lasciano a quei fancazzisti che hanno tempo da perdere. Si assomigliano anche nei tratti somatici: sono entrambi tozzi, brevilinei ma possenti. Carichi come molle compresse a terra, sono pronti a balzarne via con rabbia. Il torace palestrato è coronato da un collo taurino tornito con meticolosa ignoranza. Il collo, decorato da una volgare catena d’oro, sorregge una grande testa regolare e completamente rasata, in mezzo a cui sono ficcati degli occhi rotondi, piuttosto belli ma inespressivi. Sembrano studiati per incutere una paura liquida senza forma, senza profondità, come cellule non differenziate pronte ad assumere il proprio ruolo, onesto e cattivo. L’unica apprezzabile differenza è scolpita nel loro codice genetico: Amedeo, svizzero di origini siciliane, è bianco, mentre Mohammed, per dirla con un’espressione che a lui stesso non piace, è di colore. Preferirebbe “negro”. Questo termine contiene tutta l’onesta ottusità con cui è stato forgiato, e che si porta dentro. Nato in Senegal e da più di metà della propria vita in Europa, è sempre stato abituato a sacrificarsi per gli altri, senza pensarci troppo.

Amedeo e Mohammed, uno di fronte all’altro, sono separati ormai da pochi centimetri, e nessuno dei due vacilla, occhi negli occhi, come specchi ripetitivi di una guerra di cui sono attori, non protagonisti. L’unico rumore che accompagna questo magnetico scontro è il fastidioso ticchettio di un orologio. Distante e inesorabile, il suo incessante tic-tac sembra prevedere il loro inevitabile futuro, o forse solo allontanarlo un po’. Scandisce il tempo per esorcizzare una promessa che nessuno dei due vorrebbe mantenere. Amedeo e Mohammed sono destinati ad uno scontro che non dovrebbe arrivare mai, almeno non in questa vita, almeno non secondo il loro cuore. Occhi negli occhi, battiti nei battiti, pensieri nei pensieri, improvvisamente vengono salvati da una voce salvifica e lontana, che spezza questo tremendo incantesimo d’attesa. La sentono distintamente, e capiscono che miracolosamente è tutto finito. “Scacco matto!”. Il ticchettio cessa.

Improvvisamente i due pedoni si sentono sollevati e tornano a dormire di un sonno senza gerarchie. Fino al prossimo scontro.

mercoledì, giugno 06, 2012

Vigilia


Genova, leggera brezza di tramontana.
Cielo terso, mare spensierato.
Dopo una pausa, sbuffando pigro, l’autobus accoglie la donna e la bambina nel suo ventre arancione. Le inghiotte in uno sbadiglio e con uno scatto sonnecchiante riprende il suo cammino frastagliato.

Elisa prende con grazia la mano di sua madre, e con la mano libera, in un elegante gesto che sembra nascere da un rito giapponese, sistema i capelli biondi con il fermaglio di Hello Kitty, sotto il berretto di lana. Un gesto silenzioso, naturale e preciso. Guarda la madre, la strada, poi ancora la madre e gli altri passeggeri. Ora si distrae, sa che può farlo. Chiude gli occhi e poi, ogni tanto, li riapre. Le piace viaggiare sull’autobus, a Genova, anche in piedi. Le piacciono gli improvvisi sobbalzi sull’asfalto disconnesso, il ruvido vibrare del motore sotto la suola delle scarpe, le frenate in discesa, le improvvise svolte in salita, e le curve che disegnano il profilo del mare. E’ un gioco continuo, piacevole e discreto, a cui lei deve soltanto abbandonarsi. Dopo la fermata dell’autobus in Piazza Sturla la mamma alza il suo sguardo, fino a quel momento rivolto con intensa premura verso Elisa, e si accorge della presenza di Tony, seduto a pochi metri da loro, con lo sguardo incorniciato nel metallo sottile degli occhiali, incartato come un regalo prezioso nella bambagia di una rassicurante barba di cotone, e rivolto quasi con devozione oltre il finestrino, molto più lontano.
A Elisa, Tony ricorda la versione simpatica di Babbo Natale. Ora, non è che Babbo Natale non sia simpatico, ma le è sempre parso che manchi qualcosa. Un po’ come la luna, puoi sempre ammirarne una faccia, quella rivolta verso di noi, verso il pubblico, verso i sorrisi e le macchine fotografiche. Ma chi ha mai visto Babbo Natale di schiena? Chi ha mai intuito i pensieri che nasconde dietro la barba e dentro al cappello?
Tony, invece, basta guardarlo per poterlo vedere tutto con un solo sguardo, anche di schiena, anche i pensieri. E poi sa ridere, non si fa pregare per estrarre i suoi contagiosi denti di castoro e riempirli di autentica gioia, curiosa e sghignazzante.
“Ciao” – dice la mamma al vecchio amico – “Pensavo fossi rimasto in Canada, non aspettavo di vederti qui, la Vigilia di Natale”.
E’ un’affermazione che in realtà assomiglia molto a una domanda, a cui Tony, dopo una pausa quasi teatrale e avere tuffato ancora una volta le dita nella barba, si decide a rispondere con il suo inconfondibile accento italo-canadese.
“Quest’anno volevo respirare un po’ di Genova”.
La bambina lo fissa per un attimo, come se fosse innamorata, di qualcosa che sta vicino al baricentro tra Tony, Genova, il gioco e un’idea.
“E dove vai di bello?” – chiede incuriosita la mamma.
La risposta non tarda ad arrivare.
“Non vado. Sto sull’autobus”. E dopo una pausa: “Oggi lo passo sul 15, mi culla come una madre tra le curve di Genova. Mi mancava questa sensazione di gioco continuo”.
L’autobus sobbalza.
Elisa gli sorride senza guardarlo dritto negli occhi, con un sorriso complice di un’idea semplice.
L’autobus sobbalza ancora, ed Elisa arrossisce. Come per un vezzo automatico si sistema ancora il fermaglio di Hello Kitty. Ovviamente non ce ne sarebbe bisogno. E spera che quel viaggio, quel gioco, l’incontro con quel signore, possa durare veramente a lungo.

E’ la vigilia di Natale, e tutto sembra elasticamente caricato di attesa.
Mai fermi, sempre in equilibrio, come Genova e il suo mare.

martedì, aprile 24, 2012

La Volpe e l'I.V.A.



"Perché anziché 100 codine dovrei pagarne 121? Solo per una bottiglia di questo dolcissimo vino?".
La volpe sommelier, perleccando il suo amaro tassevin, disse che non percepiva il valore aggiunto, e aggiunse che pensandoci bene sentiva chiaramente un retrogusto imposto, beffardo e innaturale. Provò a ritrattare, a contrattare, e non volendo scendere a compromessi con il sistema ripiegò ordinatamente la sua brama su un naturale e atavico desiderio di uva, quella sì veramente all'altezza. Maledetta I.V.A.

lunedì, aprile 16, 2012

La Cicala e la Formina


Su una spiaggia, una cicala fuori luogo cercava di passare una notte struggente che lenisse (o forse acuisse) la sua forte nostalgia dei prati. Vicino a lei giaceva, dimenticata dai giochi distratti del giorno, la formina verde di un cuore. La cicala iniziò a cantare, trovando ispirazione nel colore della formina, e provò a scaldarsi e scaldarle il cuore. Ma la formina ben presto lo interruppe. "Friniscila! La tua voce non è quella del mio bambino, il mio verde non è quello di un prato. E purtroppo per me è tutta una questione di forma". E la cicala comprese, ascoltò la loro distanza siderale, pianse, amò.

lunedì, marzo 12, 2012

Euridice e la meraviglia di essere nonni

Bambini di diverse dimensioni
Parlando di ricordi, e della distanza che ci separa da loro, riparto dalla nostalgia di Orfeo. Ogni cosa che accade nella vita ha due principali porte di accesso: l'esperienza e il ricordo. L'esperienza proviene dall'ascolto delle sensazioni mentre la cosa succede; il ricordo prova a ricreare alcune di queste sensazioni (vorrebbe ricrearle tutte, ma non ci riesce), cercando di riprodurle per risonanza, raccontandole, rammentandole, talvolta rammendandole, colorandole, riascoltandole, anche tante volte, come una canzone che non può stancare. Il ricordo, dicevo nell'altro post, può essere portato quasi fino a noi, fino ai bordi dell'essere, come Euridice, ma a un certo momento bisogna voltarsi, e lasciarlo andare. Possiamo ricordare tutte le volte che vogliamo, e ricordare insieme è qualcosa di ancora più potente, è come illuminare con più luci la stessa scena, rendendola ancora più realistica e viva. Ma non ci è dato di provare due volte la stessa esperienza; soprattutto quando tanto tempo passa da un evento lontano. Le condizioni cambiano, e se non altro di certo siamo cambiati noi. E comunque nulla due volte accade, come dice anche Wislawa Szymborska in questa meravigliosa poesia.
C'è una cosa, però, che fa quasi eccezione. E' il diventare nonni. Si è stati genitori, e si sono provate delle sensazioni intime e difficilmente descrivibili, ma profondamente istintive e immediate, e quindi difficilmente modificabili da una rielaborazione razionale. E poi, dopo tanti anni, può succedere che arrivi qualcosa a toccare le stesse corde, a far vibrare le stesse emozioni, quelle di un lontano ricordo, magari di trent'anni fa. E per una volta nella vita, forse, si riesce ad abbracciare con lo stesso sguardo, ad accarezzare con la stessa mano, le emozioni congiunte di esperienza e ricordo. E questa è meraviglia.

lunedì, dicembre 19, 2011

I Re Mogi

I Re Mogi erano troppo depressi per mettersi in cammino; brindarono stancamente per la nascita del Salvatore e con lentezza ripresero a fumare mirra.

venerdì, novembre 11, 2011

Punto di Svista

Ti ho svisto, attraverso uno sbagliore,
era il pallore dei tuoi occhi di traverso;
ubriaco che scrive sversi e canti,
e ti ritrovi sverso, suonato, di traverso.
Caparbiamente intento a spiccare il suolo
stravedi per le traveggole del tempo,
sicuro che c’è un tempio per sragionare
della musica di un tempo,
o nel tempo della musica,
rimbombante e stempiato
roboante, stemperato,
o magari soltanto strampalato.
Tu, coltivatore d’oppio di una vista doppia,
coltivatore sfocato di sviste,
condannato ad errare per mestiere come un vagabondo
malsicuro, mai sicuro,
porti avanti con delirante tremore divino
la sublime incertezza
del tuo maldestro punto di svista.

(nell'ambito del gemellaggio con il blog Mi è suonato di traverso
in cui si proponeva il tema de "la svista")

domenica, ottobre 23, 2011

Il Lupo Nannaro

Il Lupo Nannaro, ogni notte di luna piena, vuota, mezza piena, mezza vuota, e tutte le intermedie sfumature di ottimismo, si trasforma nell'invisibile copia di sé stesso e si sdraia tra i sogni di tutti i bambini. In questo modo cerca di conoscere l'intima immagine di sé, dopo avere riposto il monotono specchio del giorno.

mercoledì, ottobre 12, 2011

Fare la somma

Tante persone impegnate nel provare a fare la differenza. Ma mi piace fortemente l'idea di tentare di fare la somma

giovedì, ottobre 06, 2011

Stay hungry, ma non troppo

E' morto Jobs, viva Jobs. "Stay hungry", risuona una delle sue più famose linee guida. Sì, ma non troppo. E' bello anche sentirsi sazi, ogni tanto. La sazietà è una condizione di equilibrio poco capitalistica, perché non innesca nient'altro. Si gode se stessa, si basta.

Da questo articolo su Sparknotes :
"The hormone insulin also plays an important role in regulating hunger. Insulin allows cells to access glucose in the blood. When the pancreas secretes insulin, hunger increases.".

Da Wikipedia:
"Il cancro del pancreas [...] è un cancro che origina da cellule all'interno della ghiandola addominale nota come pancreas, organo che produce insulina [...]".

Steve Jobs è morto di cancro al pancreas.

Non sta a me decidere se c'è un nesso, probabilmente no.

Comunque stay hungry, ma non troppo.

martedì, agosto 23, 2011

Euridice

Euridice, madre della bellezza dei nostri ricordi. Volendo ammirarli per il loro meraviglioso potere evocativo, in arrivo sulle frequenze dell'emozione, possiamo portare i ricordi quasi fino a noi, ma non del tutto, solo fino ai bordi dell'essere. E' forse per questo che ti volterai, Orfeo?
La nostalgia è un bellissimo modo di viaggiare.

martedì, luglio 05, 2011

L'aspirante Scrittore

L’aspirante scrittore prese in considerazione l’idea di smettere di fumare. Dopo un sospiro, smise di aspirare e cominciò a scrivere.

giovedì, febbraio 10, 2011

La dodicesima rosa

(continuazione mia su incipit letto altrove)

Le regalò dodici rose... undici vere, ed una finta. E le disse: ti amerò fin quando non moriranno tutte le rose.

Morirono undici rose, lasciando cadere petali di speranza e di passione. A lei rimase in mano l'inodore certezza di un amore senza coraggio, di un amore che non sa rischiare, di un amore finto. Per sempre.

giovedì, ottobre 07, 2010

L'Amore non è Perfetto

(poesia con cui ho partecipato al Primo Poetry Slam di Genova II, 6 Ottobre 2010)

L'AMORE NON E' PERFETTO

L’amore non è perfetto.
Alla perfezione non manca nulla,
e nulla ha da mancarle, per definizione.

L’amore è figlio naturale della mancanza:
E che vertigine sarebbe, senza il vuoto in cui cadere?
Tutti i baci, le spinte di bacino, le case costruite
sanno riempire un vuoto,
e ogni abbraccio è dissetante;
Ma ogni respiro, ogni rincorsa, ogni distacco,
(di pochi secondi, o di molte vite)
il vuoto lo sanno creare,
e fioriscono meravigliose nostalgie.

L’amore non è un concetto.
Un concetto si può impacchettare,
definire, allontanare.
Si può adorare come un dio esterno,
nella perfezione ancestrale di un’idea,
di un vampiro di plastica
di una storia piena e perfetta,
e quindi inutile, perché non manca nulla.

L’amore non chiede permesso,
perché non sa bussare,
è solo capace di fare irruzione,
magari in punta di piedi
nudi imbracciando un fucile
carico di fiori, di temporali,
di carezze o di violenza
di follia, o di pazienza,
e senza saperlo (né lui, né noi)
sa modellarci a sua immagine:
Indelebile, e meravigliosamente imperfetta.
Gli arcobaleni, sono da guardare.
Solo da guardare.

L’amore non è perfetto,
L’amore è infinito.

Un amante
è per sempre.

Poesia Emetica

(poesia con cui ho partecipato al Quarto Poetry Slam di Genova, 26 Maggio 2010, arrivando secondo)

POESIA EMETICA

Il mio nome è Bond.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
Bang, gulp, uuuuuuhhh, sdeng, ratatatatatatà, bleah.

Cara la mia poesia,
per adesso fai schifo,
ma non temere:
è proprio questo l’obiettivo.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
Scriverò poesie emetiche.
Emetiche, ovvero poesie
che fanno vomitare.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
Non voglio essere abile ma labile,
voglio scivolare sul vomito,
pattinare sullo schifo.
E scrivere di rigetto,
per chiedere al panettiere un filone poetico
e vomitarlo sotto i suoi occhi,
ovvero sugli zigomi,
con la solita scusa degli sbocchi culturali,
e andare via, senza neanche cagare.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
ho conato nuovi termini,
ho creato i cacofonemi,
fatti di munfugli,
di slipandri,
di bruzzi,
di farlusci,
di chiazzagli,
di rumolli,

Fatti di quello che vogliono,
basta che vòmitino e facciano vomitare,
per mostrare la differenza tra la catarsi e il catarro,
tra la colpa e la vergogna,
tra l’automa e l’autore,
tra l’autore e l’autorimessa,
tra l’autorimessa e rimettere in auto,
tra rimettere in auto e rimettersi in moto,
girando la chiavetta d’accensione dei sensi
per riuscire a discernere
tra avere senso e fare senso,
tra il cuore visto da fuori e lo stomaco visto da dentro,
tra l’indignazione
e metterci per una volta un piede dentro a questa pozza di schifo.

Il mio nome è Bond.
Nausea Bond.

L'orgia delle Fate

(poesia con cui ho partecipato al Quarto Poetry Slam di Genova, 26 Maggio 2010, arrivando secondo)

L'ORGIA DELLE FATE

Come sempre,
Un gesto d’intesa,
è un tacito accordo.

Come sempre,
lascio aperto,
e aspetterete il mio sonno
prima di entrare in camera da letto,
nell’oscurità,
nel silenzio,
come sempre.

Stanotte
Non dovrete neanche spogliarmi
Perché fa caldo
E sono andato a letto nudo,
stanotte.

Strana questa notte,
come sempre.

Come sempre
Non vi sento entrare,
Ma una di voi
Mi sussurra qualcosa all’orecchio,
e non sono parole
ma una sorta di gemito acuto. (...)
E’ come una sfida di fate sognate.
E’ come un canto di sirene scopate.
E infatti apro gli occhi
E non vi scorgo.

Sono immerso in un’orgia ma non posso toccarvi,
non riesco ad interrompere
la vostra danza lieve sul mio corpo,
il vostro incessante succhiare,
il vostro gioco di amore e di morte.

Sì, di amore e di morte,
perché il patto è tremendo, lo sapete anche voi:
Ti riveli ai miei occhi? Vieni uccisa.
Con un gesto rapido, vieni ammazzata.
Alcune di voi rimangono immobili,
tremende icone di tremenda giovinezza,
e altre mi mostrano l’ultimo sangue,
come per restituirlo troppo tardi
a candori di amplessi virginali.

Muori! Oso esclamare
Con le mani ancora macchiate
Di un assassinio concordato,
promettendo che domani, però
la finestra starà chiusa.

Fottute zanzare.

mercoledì, settembre 22, 2010

La coca cola

(poesia con cui ho partecipato al Secondo Poetry Slam di Genova, 24 Febbraio 2010)

LA COCA COLA

La ricetta segreta
Della fabbrica di Atlanti
è reggere il mondo sulle mie palle
Come un dio annoiato
Che si crede onnipotente
E quindi stanco
Di vincere sempre

... CRACK!
Fumo la coca,
e la coca cola
nelle mie vene poetiche,
ma solo un po’ etiche
perché mi sento
come un dio annoiato
che si crede onnipotente
al di sopra della morale,
una morale che scoprirò alla fine
perché adesso piscio parole
perché adesso mi sento un campione,
un campione d’urina
e vado all’antidoping
ma non mi beccano perché sono dio
anche se la coca cola
e butto nel cesso la verità
e tiro la catena
di Sant’Antonio
perché preferisco lo spettacolo alla realtà
e la coca cola
nel mio cervello
e penso come dio
piscio parole di onnipotenza
non è latrina, è latrinità
nel nome del padre, del foglio
e dello spirito, tanto
perché la coca cola
in terre di sproloqui
e involontaria omertà
dove il silenzio ha senso
per non parlare solo di ciò che appare
nella valle dell’ecco!
E la coca cola
Anche nel mio cuore
Che batte all’incazzata
Veloce ma cattivo
E vorrei fare il turbo
Perché in amore vince chi rugge
Ma forse al cuore non si domanda
Perché risponde dio

E all’improvviso mi accorgo
che non ci riesco mica
A reggere il mondo.

Io non la so la ricetta segreta
Della fabbrica di Atlanti.
So soltanto che la coca cola.

martedì, settembre 14, 2010

Il mio Principe Azzurro

(prima classificata pari-merito al Primo Poetry Slam di Genova, 27 Gennaio 2010)

IL MIO PRINCIPE AZZURRO


Ma di' soltanto una parola e io sarò salvato


Il mio principe azzurro è una puttana
Ama il prossimo suo agli angoli delle strade
E aspettando il prossimo, gli chiede 30 euro
Perché non sa cosa chiedergli, altrimenti
Dagli soltanto una parola, e lui sarà salvato.

Il mio principe azzurro porta una gonna rosa
E sotto ha le calze a 30 denari, ti ricorda qualcosa?
Mai ti tradirebbe per qualcosa che si può comprare
Anche se quando ha freddo talvolta bestemmia.
Dice soltanto una parola, e lui sarà salvato?

Il mio principe azzurro mi chiama "principessa"
E quando chiede carezze porge l'altra guancia
Lo sfioro senza decidere
Se sono mani di uomo o mani di donna
Vorrei che fossero mani di angelo, ma fremono di passione.
Cambia soltanto una parola, e io sarei salvato.

Il mio principe azzurro mi parla d'amore
Dice che l'amore si deve toccare
Dice che l'amore è fatto di te
E' nel silenzio che lo accolgo,
E' nel silenzio che ti accolgo, signore mio.
Non dire neanche una parola, e forse ti salverai.

giovedì, marzo 25, 2010

Dal punto di vista del Lupo

C'è un tempo da lupi, e un tempo per le confessioni. Ma, San Pietro Lupo, io sono innocente, e ti aprirò il mio cuore.
Ero a casa mia bello tranquillo a depilarmi, questa volta cercavo di perdere anche il vizio con il nuovo Lupette Pentalama; la quinta lama taglia il vizio e ne sradica pure l'albero genealogico eliminando suo padre, l'ozio, e suo zio, lo zio. Squilla il telefono ed è quella rompicoglioni della signora Iole Rosso, la nonna di Cappuccetto Rosso. Se c'è una parola che la può definire è: pignola. Una sua amica per farle gli auguri non è andata a dirle "In bocca al lupo"? E lei, pignola, subito a chiamarmi, come se ogni suo desiderio dovesse essere esaudito all'istante. Non voleva sentire ragioni, e allora poso il rasoio Lupette, mi lavo i denti, prendo un po' di bicarbonato e le dispense del corso di fachirologia, e mi reco dalla simpatica nonnina. Ora, ingoiare una spada può considerarsi un'operazione relativamente semplice, lama o non lama, è un po' come spogliare una Margherita. Ma ingoiare una nonna non è altrettanto semplice, soprattutto quando si dimena e pretende che non le si rovini la messa in piega (e celebrare una messa in piega non è facile neanche se il prete è un esperto motociclista, ma questo è un altro discorso). Però, San Pietro Lupo, ce l'ho fatta. L'ho ingoiata per intero e l'ho custodita nel mio stomaco, come originariamente pattuito. A quel punto avevo pure fretta, perché, oltre che finire di depilarmi, dovevo anche andare aldilà del fiume e raggiungere la pecora che col cavolo che tornava indietro. Era un'operazione che si preannunciava un po' lunghetta. Stavo per risputare la vecchia quando quella mocciosa di Cappuccetto Rosso suona alla porta. Allora in fretta e Furia mi vesto da Cavallo del West, anzi penso che sia meglio mettermi gli abiti della nonna per non spaventare la povera bambina e farla allontanare il più presto possibile senza che si impressioni. Ma lei attacca con le domande. Che occhi grandi che hai, che orecchie grandi che hai, che bocca grande che hai... Insomma ci provi lei a ingoiarsi una vecchia senza fiatare: un po' di dilatazione è il minimo che possa capitare, no? Insomma che la piccola discendente di Sherlock Holmes stava per scoprire il trucco, e così per prendere tempo, e non senza ulteriori difficoltà peristaltiche, ho deglutito pure lei. A questo punto fammi fare una considerazione: la Balena di Pinocchio passa alla storia per avere ospitato dentro di sé Pinocchio e Geppetto, applausi da tutti, urla di tripudio, e faccio notare che: 1) una balena è molto più capiente di un lupo, e 2) l'uscita di sicurezza della balena è quella sorta di sfiatatoio che si trova sopra la sua testa, mentre io, indovina un po' da dove pianificavo di far evadere le due prigioniere. Tra l'altro mi sembrava pure un bel gesto, visto che si lamentano sempre che non le caga nessuno. Beh, riassumendo: applausi alla balena, morte per il lupo, ma grazie! Grazie davvero. Infatti, mi stavo preparando al delicato processo di espulsione quando bussano alla porta quel ficcanaso del cacciatore e quel salame di suo figlio, il cacciatorino. Notevolmente appesantito vado ad aprire, li faccio accomodare, poi il piccolo mi dice: "Sai che cosa mi è successo ieri?". E io, per essere gentile: "No, spara!". 'Sto scemo non va a imbracciare il fucile e a fare fuoco? E io, sai che cosa ho fatto, San Pietro Lupo? Sono riuscito ad alzare la canna quel tanto che bastava per non farmi colpire al ventre. Ho condannato a morte certa me stesso, ma ho salvato le due donne. L'ho preso dritto al cuore, San Pietro Lupo. Dritto al cuore. Sono morto sul colpo; schizzi di sangue dappertutto, anche il cappuccio di Cappuccetto Rosso si è tutto intriso di sangue. E ora te lo posso dire, prima era bianco come la neve, e il suo soprannome è stato creato a posteriori per gettare una luce diversa sull'intera vicenda: il cacciatore ha estratto le due malcapitate dal mio stomaco e ha inventato la storia nota a tutti per scagionare lo stupido figlio e per coprirsi di immeritata gloria. Quanto a me, il mio corpo è disintegrato, e la mia memoria irrimediabilmente infangata. Dimmi, che ne sarà della mia anima? Dritto al cuore, San Pietro Lupo, dritto al cuore.