mercoledì, settembre 12, 2012

Il Cavaliere Non Violento

Racconto pubblicato sulla rivista Linus - Anno XLVII n.11 - Novembre 2012 - pp. 68-69 - editori Baldini Castoldi Dalai, all'interno della rubrica "Laboratorio Esordienti" a cura di Paolo Restuccia ed Enrico Valenzi, Scuola Omero.

(racconto da me scritto nell'ambito della Full Immersion organizzata dalla Scuola Omero nell'Agosto 2012)
(immagine di Luigi Annibaldi)

Dentro l’alta torre, sopra il potente drago, oltre l’erta scala e al centro dell’angusta stanza con piccola finestra vista mai, Abelina corrisponde quasi perfettamente ai canoni della bellissima principessa da salvare: è bellissima, è una principessa e soprattutto vorrebbe essere salvata.
Però è stronza.

Per esempio, la lista della spesa che oggi Abelina lascia al drago è:
  • drago ti odio
  • 2 pacchetti di sigarette gusto fragola
  • 1 crema anticellulite
  • muori muori muori muori muori
  • 1 leccalecca azzurro a forma di pene di principe
  • 1 poster di San Giorgio
  • vaffanculo drago
Dopo anni di forzata convivenza, il drago ormai conosce l’unica arma con cui può resisterle: la pazienza. Si fa scivolare addosso le beffe e gli insulti, fa arrivare alla torre tutte le sciocchezze che Abelina chiede e poi le recapita, insieme a un buon pranzo e alla biancheria pulita, nella stanza della principessa.

Negli ultimi anni sono sempre meno i cavalieri che si presentano alla torre per sfidare il drago e salvare la principessa. Quasi tutti sono disperati piantagrane in cerca di un ultimo tentativo per raddrizzare le loro vite bruciate. In genere, basta una fiammata distratta per carbonizzarli e farli precipitare verso il loro insuccesso.

Il giovane cavaliere che oggi si avvicina alla torre è il famoso cavaliere non violento: è noto nel reame per portare a termine le sue imprese con il minor spargimento di sangue possibile. Quasi sempre, neanche un ferito lieve.

Equipaggiamento del cavaliere non violento:
  • 1 scudo “Mahatma” con effige di Gandhi e scritta “I Love my enemy”
  • set di 12 frecce “Nannadoro” con punta sonnifera
  • 1 arco ecologico in legno di bambù
  • 2 bandiere bianche “Sventolin” antipanico
  • 1 libro di mantra buddhisti
  • 1 spada “Ultimaspiaggia” per situazioni di estremo pericolo
  • incenso da meditazione
- Scappa, ragazzo, finché sei in tempo. Sei bello, hai una vita di libertà di fronte a te – pensa il drago. Ma il cavaliere è qui per combattere, non c’è più spazio per i pensieri. La prima debole fiammata viene schivata agevolmente, con un movimento breve e rapido.
Un’altra fiammata, più forte e decisa, e un altro balzo, altrettanto agevole. Altre fiammate, altri fendenti, neanche un colpo a segno.
La principessa, abituata a sentire per pochi secondi gli echi di una lotta impari, poi il rumore di un rutto infuocato seguito da un silenzio vuoto di speranza, oggi è attratta dall’insolita durata della lotta. Nervosamente, aspetta.
Il drago incrocia lo sguardo del cavaliere, è uno sguardo meravigliosamente vivo.
Colpo d’ala, colpo di zampa, fiammata fortissima. Schivato, schivato, schivata.
Il cavaliere sembra danzare con il drago una fantastica capoeira non violenta, in cui nessuno colpisce nessuno. All’improvviso, il drago sente una puntura fortissima sulla lingua. Si tratta di una freccia Nannadoro scagliata dal cavaliere dopo l’ennesima fiamma schivata. Il tempo di sentirne il sapore amaro per un secondo e il drago crolla a terra con dolcezza.
– Ne avrai per un paio d’ore, lucertolone, al tuo risveglio sarò già fuggito con la principessa – sussurra il cavaliere.
Accende un bastoncino d’incenso profumato alla magnolia e si allontana con un inchino che il drago non può vedere: dorme già profondamente. Il cavaliere, euforico e senza un graffio, bussa trepidante alla porta della principessa. Sa di essere atteso, ed entra.

- Mio eroe! Finalmente! Hai ucciso quel brutto drago per me! Evviva, l’hai ucciso! – La principessa lo accoglie con un insolito sorriso.
- Buongiorno principessa, che la pace sia con voi. In effetti ho sconfitto il drago per salvarvi, anche se tecnicamente non l’ho ucciso. Ora, in ginocchio da voi, chiedo il permesso di prendervi in braccio e baciarvi, per celebrare il…
- Scusa scusa scusa come hai detto? – Il sorriso sparisce subito dal volto di Abelina – Non l’hai ucciso? Non hai nemmeno ucciso quella schifo di lucertola sputafuoco e io dovrei pure baciarti?
- Principessa, in primo luogo vorrei farvi notare che si tratta di uno dei rarissimi esemplari viventi di Lacertilia Draconis, specie in serio pericolo di estinzione – replica pacatamente il cavaliere restando in ginocchio davanti ad Abelina – e comunque a noi basta che il drago rimanga addormentato per il tempo sufficiente a scappare. Possiamo uscire indisturbati e vivere felici e contenti!
La principessa guarda il cavaliere dritto negli occhi. Uno sguardo cattivo e molto serio.
- Non voglio scappare, voglio vincere. Il drago è la mia prigione. Se mi vuoi, la tua ninnananna non basta. Devi ucciderlo.
Il cavaliere si rialza, fa una pausa per raccogliere le idee e inizia a parlare con lentezza, come se stesse leggendo un pensiero, sempre più chiaro davanti ai suoi occhi.
- Sì, speravo di potermela cavare così, e come al solito pensavo di ottenere il massimo: principessa salva, zero violenza, neanche un graffio, libertà, trionfo completo. Ma questa volta devo ammettere che avete ragione voi, principessa. La mia spada dovrà finalmente conoscere il sangue.
Il Cavaliere si gira, attraversa la stanza in direzione della porta, poi torna indietro verso la principessa, poi di nuovo verso la porta. E’ un passeggiare nervoso. Non ha mai ucciso nessuno, ma ora sa di doverlo fare.
- Sbrigati, imbecille! – strilla Abelina.
Il Cavaliere ferma il suo andirivieni e prende un respiro, estrae la spada “Ultimaspiaggia” e con un colpo netto stacca la testa alla principessa. Chiede scusa, bastoncino di incenso, si volta, esce. Si sdraia vicino al drago, piange un po’, riposa.

Quando il drago si sveglia nessuno ha bisogno di chiedere, nessuno di spiegare. Solo dopo alcuni minuti il cavaliere rompe la fragile crosta di silenzio:
- Lo sentivo che il mio destino era di liberare qualcuno. Ma non ne sospettavo il prezzo. - Ora dobbiamo andare amico, questa torre non è più casa mia - dice il drago.
Come due vecchi amici, il cavaliere e il drago escono dalla torre e si avviano lentamente verso il tramonto.

mercoledì, agosto 22, 2012

Lucertole

Un po’ sirena, un po’ donna cannone, ti farai trovare pronta ad essere sparata nel vuoto da un grido di piacere primordiale. Muoverai la coda fortissimo, surferai veloce eludendo le trappole acide del pH vaginale e ti getterai con slancio al collo dell’utero. Intorno a te vedrai arenarsi progetti destinati a non essere mai realizzati né pensati, vedrai audaci scommesse perdersi per strada, supererai piroettando flessuosa leali concorrenti e con la forza di un’idea folle entrerai in un magico mondo sferoidale, pervaso di vita. Arriverai per prima, e percepirai una forza unica, intensa, ma composta da mille vibrazioni differenti che solo anni più tardi proverai a riassumere con la parola amore, e sempre ti sfuggirà qualcosa. Imparerai tanti nomi dal suono magico, come padre, amica, figlio, amante, fratellino. Ti taglierai i capelli corti, poi guarderai il pavimento pieno di riccioli biondi e ti divertirà il fatto che non potrai mai più riaverli in testa. Almeno non quelli. Proverai a decidere che per qualche amore proprio non c’è nome. Non saprai come chiamare Lucia. Amica? Amante? Sorella minore? Questi nomi affascinanti rimarranno latenti, parzialmente disinnescati, ad approssimare vagamente il tuo sentire: ti accorgerai che ciascuno di essi avrebbe finito per cancellare i battiti degli altri. E allora deciderai di continuare a chiamarla soltanto Lucia. Piangerai spesso, e dopo una semplice delusione teorizzerai modelli, strutture, implicazioni e divieti, proverai mille alchimie e cercherai le regole per dividere l’amore dal non amore. Puntualmente, le disattenderai con leggerezza. Andrai da sola nella casa al mare, forse per studiare, forse per pensare, forse per restituire pensieri al mare. Fingerai di disinteressarti di un amore impossibile da spiegarti e lo stesso giorno ne resterai ossessionata, quasi avvelenata dalla dolcezza dei suoi battiti. Resterai a lungo nel letto grande, a pancia sotto, e sentirai il seno premuto contro il pigiama, il pigiama premuto contro il cuscino, il cuscino premuto contro il materasso, e il materasso premuto contro il battito lontano del tuo cuore.

E poi di notte sognerai le lucertole. Sognerai un predatore senza volto ma con un nome da far gelare il sangue, e le lucertole ferme, con il cuore a mille sotto il corpo immobile, lontano, e fingeranno di essere morte per non essere dilaniate. Arriveranno al punto di separarsi dalla coda pur continuando a muoverla fortissimo, agitandola lontano dal proprio corpo, come la bandiera bianca di un sogno che si vuole abbandonare. E il predatore se ne andrà via, ingannato e freddamente indifferente.

Ti sveglierai, e penserai che si tratta di una buona strategia: fingersi morti, fingersi altrove, per non farsi dilaniare dall’insostenibile presenza di un amore impossibile. Ti passerai una mano tra i riccioli, concederai uno sguardo complice al mare al di là delle tende bianche, e ti metterai a sedere sul letto. E deciderai che forse no, è una strategia che non vorrai applicare, almeno non in questa vita. Quello sarà il giorno in cui sceglierai veramente di amare. La tua storia sarà incominciata tuffandoti nel vuoto, ed è una cosa che non vorrai mai disimparare.

sabato, giugno 16, 2012

Occhi negli occhi

Mohammed è immobile. Fedele guardia del corpo del placido monarca, lo difende con la sua stazza ottusa. Di fronte a lui, Amedeo scatta in avanti con un grande balzo, e inizia a guardare Mohammed negli occhi. Poi sembra tranquillizzarsi, ma inesorabile continua la sua avanzata: un passo, un altro passo, senza mai distogliere lo sguardo. Adesso è proprio davanti al vecchio nemico, conosciuto e troppo simile a lui. Mohammed lo vede chiaramente arrivare, e con una sorta di compassionevole rispetto lo attende fermo, senza nascondere una spavalda espressione di sfida. Occhi negli occhi, la loro somiglianza è sbalorditiva. Stesso senso del dovere, stessa arroganza ottusa e determinata a guardare sempre avanti, a costo di perdersi le sfumature della vita. Tutto bianco o tutto nero, entrambi tagliano corto: le tonalità di grigio le lasciano a quei fancazzisti che hanno tempo da perdere. Si assomigliano anche nei tratti somatici: sono entrambi tozzi, brevilinei ma possenti. Carichi come molle compresse a terra, sono pronti a balzarne via con rabbia. Il torace palestrato è coronato da un collo taurino tornito con meticolosa ignoranza. Il collo, decorato da una volgare catena d’oro, sorregge una grande testa regolare e completamente rasata, in mezzo a cui sono ficcati degli occhi rotondi, piuttosto belli ma inespressivi. Sembrano studiati per incutere una paura liquida senza forma, senza profondità, come cellule non differenziate pronte ad assumere il proprio ruolo, onesto e cattivo. L’unica apprezzabile differenza è scolpita nel loro codice genetico: Amedeo, svizzero di origini siciliane, è bianco, mentre Mohammed, per dirla con un’espressione che a lui stesso non piace, è di colore. Preferirebbe “negro”. Questo termine contiene tutta l’onesta ottusità con cui è stato forgiato, e che si porta dentro. Nato in Senegal e da più di metà della propria vita in Europa, è sempre stato abituato a sacrificarsi per gli altri, senza pensarci troppo.

Amedeo e Mohammed, uno di fronte all’altro, sono separati ormai da pochi centimetri, e nessuno dei due vacilla, occhi negli occhi, come specchi ripetitivi di una guerra di cui sono attori, non protagonisti. L’unico rumore che accompagna questo magnetico scontro è il fastidioso ticchettio di un orologio. Distante e inesorabile, il suo incessante tic-tac sembra prevedere il loro inevitabile futuro, o forse solo allontanarlo un po’. Scandisce il tempo per esorcizzare una promessa che nessuno dei due vorrebbe mantenere. Amedeo e Mohammed sono destinati ad uno scontro che non dovrebbe arrivare mai, almeno non in questa vita, almeno non secondo il loro cuore. Occhi negli occhi, battiti nei battiti, pensieri nei pensieri, improvvisamente vengono salvati da una voce salvifica e lontana, che spezza questo tremendo incantesimo d’attesa. La sentono distintamente, e capiscono che miracolosamente è tutto finito. “Scacco matto!”. Il ticchettio cessa.

Improvvisamente i due pedoni si sentono sollevati e tornano a dormire di un sonno senza gerarchie. Fino al prossimo scontro.

mercoledì, giugno 06, 2012

Vigilia


Genova, leggera brezza di tramontana.
Cielo terso, mare spensierato.
Dopo una pausa, sbuffando pigro, l’autobus accoglie la donna e la bambina nel suo ventre arancione. Le inghiotte in uno sbadiglio e con uno scatto sonnecchiante riprende il suo cammino frastagliato.

Elisa prende con grazia la mano di sua madre, e con la mano libera, in un elegante gesto che sembra nascere da un rito giapponese, sistema i capelli biondi con il fermaglio di Hello Kitty, sotto il berretto di lana. Un gesto silenzioso, naturale e preciso. Guarda la madre, la strada, poi ancora la madre e gli altri passeggeri. Ora si distrae, sa che può farlo. Chiude gli occhi e poi, ogni tanto, li riapre. Le piace viaggiare sull’autobus, a Genova, anche in piedi. Le piacciono gli improvvisi sobbalzi sull’asfalto disconnesso, il ruvido vibrare del motore sotto la suola delle scarpe, le frenate in discesa, le improvvise svolte in salita, e le curve che disegnano il profilo del mare. E’ un gioco continuo, piacevole e discreto, a cui lei deve soltanto abbandonarsi. Dopo la fermata dell’autobus in Piazza Sturla la mamma alza il suo sguardo, fino a quel momento rivolto con intensa premura verso Elisa, e si accorge della presenza di Tony, seduto a pochi metri da loro, con lo sguardo incorniciato nel metallo sottile degli occhiali, incartato come un regalo prezioso nella bambagia di una rassicurante barba di cotone, e rivolto quasi con devozione oltre il finestrino, molto più lontano.
A Elisa, Tony ricorda la versione simpatica di Babbo Natale. Ora, non è che Babbo Natale non sia simpatico, ma le è sempre parso che manchi qualcosa. Un po’ come la luna, puoi sempre ammirarne una faccia, quella rivolta verso di noi, verso il pubblico, verso i sorrisi e le macchine fotografiche. Ma chi ha mai visto Babbo Natale di schiena? Chi ha mai intuito i pensieri che nasconde dietro la barba e dentro al cappello?
Tony, invece, basta guardarlo per poterlo vedere tutto con un solo sguardo, anche di schiena, anche i pensieri. E poi sa ridere, non si fa pregare per estrarre i suoi contagiosi denti di castoro e riempirli di autentica gioia, curiosa e sghignazzante.
“Ciao” – dice la mamma al vecchio amico – “Pensavo fossi rimasto in Canada, non aspettavo di vederti qui, la Vigilia di Natale”.
E’ un’affermazione che in realtà assomiglia molto a una domanda, a cui Tony, dopo una pausa quasi teatrale e avere tuffato ancora una volta le dita nella barba, si decide a rispondere con il suo inconfondibile accento italo-canadese.
“Quest’anno volevo respirare un po’ di Genova”.
La bambina lo fissa per un attimo, come se fosse innamorata, di qualcosa che sta vicino al baricentro tra Tony, Genova, il gioco e un’idea.
“E dove vai di bello?” – chiede incuriosita la mamma.
La risposta non tarda ad arrivare.
“Non vado. Sto sull’autobus”. E dopo una pausa: “Oggi lo passo sul 15, mi culla come una madre tra le curve di Genova. Mi mancava questa sensazione di gioco continuo”.
L’autobus sobbalza.
Elisa gli sorride senza guardarlo dritto negli occhi, con un sorriso complice di un’idea semplice.
L’autobus sobbalza ancora, ed Elisa arrossisce. Come per un vezzo automatico si sistema ancora il fermaglio di Hello Kitty. Ovviamente non ce ne sarebbe bisogno. E spera che quel viaggio, quel gioco, l’incontro con quel signore, possa durare veramente a lungo.

E’ la vigilia di Natale, e tutto sembra elasticamente caricato di attesa.
Mai fermi, sempre in equilibrio, come Genova e il suo mare.

martedì, aprile 24, 2012

La Volpe e l'I.V.A.



"Perché anziché 100 codine dovrei pagarne 121? Solo per una bottiglia di questo dolcissimo vino?".
La volpe sommelier, perleccando il suo amaro tassevin, disse che non percepiva il valore aggiunto, e aggiunse che pensandoci bene sentiva chiaramente un retrogusto imposto, beffardo e innaturale. Provò a ritrattare, a contrattare, e non volendo scendere a compromessi con il sistema ripiegò ordinatamente la sua brama su un naturale e atavico desiderio di uva, quella sì veramente all'altezza. Maledetta I.V.A.

lunedì, aprile 16, 2012

La Cicala e la Formina


Su una spiaggia, una cicala fuori luogo cercava di passare una notte struggente che lenisse (o forse acuisse) la sua forte nostalgia dei prati. Vicino a lei giaceva, dimenticata dai giochi distratti del giorno, la formina verde di un cuore. La cicala iniziò a cantare, trovando ispirazione nel colore della formina, e provò a scaldarsi e scaldarle il cuore. Ma la formina ben presto lo interruppe. "Friniscila! La tua voce non è quella del mio bambino, il mio verde non è quello di un prato. E purtroppo per me è tutta una questione di forma". E la cicala comprese, ascoltò la loro distanza siderale, pianse, amò.

lunedì, marzo 12, 2012

Euridice e la meraviglia di essere nonni

Bambini di diverse dimensioni
Parlando di ricordi, e della distanza che ci separa da loro, riparto dalla nostalgia di Orfeo. Ogni cosa che accade nella vita ha due principali porte di accesso: l'esperienza e il ricordo. L'esperienza proviene dall'ascolto delle sensazioni mentre la cosa succede; il ricordo prova a ricreare alcune di queste sensazioni (vorrebbe ricrearle tutte, ma non ci riesce), cercando di riprodurle per risonanza, raccontandole, rammentandole, talvolta rammendandole, colorandole, riascoltandole, anche tante volte, come una canzone che non può stancare. Il ricordo, dicevo nell'altro post, può essere portato quasi fino a noi, fino ai bordi dell'essere, come Euridice, ma a un certo momento bisogna voltarsi, e lasciarlo andare. Possiamo ricordare tutte le volte che vogliamo, e ricordare insieme è qualcosa di ancora più potente, è come illuminare con più luci la stessa scena, rendendola ancora più realistica e viva. Ma non ci è dato di provare due volte la stessa esperienza; soprattutto quando tanto tempo passa da un evento lontano. Le condizioni cambiano, e se non altro di certo siamo cambiati noi. E comunque nulla due volte accade, come dice anche Wislawa Szymborska in questa meravigliosa poesia.
C'è una cosa, però, che fa quasi eccezione. E' il diventare nonni. Si è stati genitori, e si sono provate delle sensazioni intime e difficilmente descrivibili, ma profondamente istintive e immediate, e quindi difficilmente modificabili da una rielaborazione razionale. E poi, dopo tanti anni, può succedere che arrivi qualcosa a toccare le stesse corde, a far vibrare le stesse emozioni, quelle di un lontano ricordo, magari di trent'anni fa. E per una volta nella vita, forse, si riesce ad abbracciare con lo stesso sguardo, ad accarezzare con la stessa mano, le emozioni congiunte di esperienza e ricordo. E questa è meraviglia.