giovedì, ottobre 07, 2010

L'Amore non è Perfetto

(poesia con cui ho partecipato al Primo Poetry Slam di Genova II, 6 Ottobre 2010)

L'AMORE NON E' PERFETTO

L’amore non è perfetto.
Alla perfezione non manca nulla,
e nulla ha da mancarle, per definizione.

L’amore è figlio naturale della mancanza:
E che vertigine sarebbe, senza il vuoto in cui cadere?
Tutti i baci, le spinte di bacino, le case costruite
sanno riempire un vuoto,
e ogni abbraccio è dissetante;
Ma ogni respiro, ogni rincorsa, ogni distacco,
(di pochi secondi, o di molte vite)
il vuoto lo sanno creare,
e fioriscono meravigliose nostalgie.

L’amore non è un concetto.
Un concetto si può impacchettare,
definire, allontanare.
Si può adorare come un dio esterno,
nella perfezione ancestrale di un’idea,
di un vampiro di plastica
di una storia piena e perfetta,
e quindi inutile, perché non manca nulla.

L’amore non chiede permesso,
perché non sa bussare,
è solo capace di fare irruzione,
magari in punta di piedi
nudi imbracciando un fucile
carico di fiori, di temporali,
di carezze o di violenza
di follia, o di pazienza,
e senza saperlo (né lui, né noi)
sa modellarci a sua immagine:
Indelebile, e meravigliosamente imperfetta.
Gli arcobaleni, sono da guardare.
Solo da guardare.

L’amore non è perfetto,
L’amore è infinito.

Un amante
è per sempre.

Poesia Emetica

(poesia con cui ho partecipato al Quarto Poetry Slam di Genova, 26 Maggio 2010, arrivando secondo)

POESIA EMETICA

Il mio nome è Bond.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
Bang, gulp, uuuuuuhhh, sdeng, ratatatatatatà, bleah.

Cara la mia poesia,
per adesso fai schifo,
ma non temere:
è proprio questo l’obiettivo.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
Scriverò poesie emetiche.
Emetiche, ovvero poesie
che fanno vomitare.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
Non voglio essere abile ma labile,
voglio scivolare sul vomito,
pattinare sullo schifo.
E scrivere di rigetto,
per chiedere al panettiere un filone poetico
e vomitarlo sotto i suoi occhi,
ovvero sugli zigomi,
con la solita scusa degli sbocchi culturali,
e andare via, senza neanche cagare.

Mi hanno chiesto di scrivere in versi e allora
ho conato nuovi termini,
ho creato i cacofonemi,
fatti di munfugli,
di slipandri,
di bruzzi,
di farlusci,
di chiazzagli,
di rumolli,

Fatti di quello che vogliono,
basta che vòmitino e facciano vomitare,
per mostrare la differenza tra la catarsi e il catarro,
tra la colpa e la vergogna,
tra l’automa e l’autore,
tra l’autore e l’autorimessa,
tra l’autorimessa e rimettere in auto,
tra rimettere in auto e rimettersi in moto,
girando la chiavetta d’accensione dei sensi
per riuscire a discernere
tra avere senso e fare senso,
tra il cuore visto da fuori e lo stomaco visto da dentro,
tra l’indignazione
e metterci per una volta un piede dentro a questa pozza di schifo.

Il mio nome è Bond.
Nausea Bond.

L'orgia delle Fate

(poesia con cui ho partecipato al Quarto Poetry Slam di Genova, 26 Maggio 2010, arrivando secondo)

L'ORGIA DELLE FATE

Come sempre,
Un gesto d’intesa,
è un tacito accordo.

Come sempre,
lascio aperto,
e aspetterete il mio sonno
prima di entrare in camera da letto,
nell’oscurità,
nel silenzio,
come sempre.

Stanotte
Non dovrete neanche spogliarmi
Perché fa caldo
E sono andato a letto nudo,
stanotte.

Strana questa notte,
come sempre.

Come sempre
Non vi sento entrare,
Ma una di voi
Mi sussurra qualcosa all’orecchio,
e non sono parole
ma una sorta di gemito acuto. (...)
E’ come una sfida di fate sognate.
E’ come un canto di sirene scopate.
E infatti apro gli occhi
E non vi scorgo.

Sono immerso in un’orgia ma non posso toccarvi,
non riesco ad interrompere
la vostra danza lieve sul mio corpo,
il vostro incessante succhiare,
il vostro gioco di amore e di morte.

Sì, di amore e di morte,
perché il patto è tremendo, lo sapete anche voi:
Ti riveli ai miei occhi? Vieni uccisa.
Con un gesto rapido, vieni ammazzata.
Alcune di voi rimangono immobili,
tremende icone di tremenda giovinezza,
e altre mi mostrano l’ultimo sangue,
come per restituirlo troppo tardi
a candori di amplessi virginali.

Muori! Oso esclamare
Con le mani ancora macchiate
Di un assassinio concordato,
promettendo che domani, però
la finestra starà chiusa.

Fottute zanzare.

mercoledì, settembre 22, 2010

La coca cola

(poesia con cui ho partecipato al Secondo Poetry Slam di Genova, 24 Febbraio 2010)

LA COCA COLA

La ricetta segreta
Della fabbrica di Atlanti
è reggere il mondo sulle mie palle
Come un dio annoiato
Che si crede onnipotente
E quindi stanco
Di vincere sempre

... CRACK!
Fumo la coca,
e la coca cola
nelle mie vene poetiche,
ma solo un po’ etiche
perché mi sento
come un dio annoiato
che si crede onnipotente
al di sopra della morale,
una morale che scoprirò alla fine
perché adesso piscio parole
perché adesso mi sento un campione,
un campione d’urina
e vado all’antidoping
ma non mi beccano perché sono dio
anche se la coca cola
e butto nel cesso la verità
e tiro la catena
di Sant’Antonio
perché preferisco lo spettacolo alla realtà
e la coca cola
nel mio cervello
e penso come dio
piscio parole di onnipotenza
non è latrina, è latrinità
nel nome del padre, del foglio
e dello spirito, tanto
perché la coca cola
in terre di sproloqui
e involontaria omertà
dove il silenzio ha senso
per non parlare solo di ciò che appare
nella valle dell’ecco!
E la coca cola
Anche nel mio cuore
Che batte all’incazzata
Veloce ma cattivo
E vorrei fare il turbo
Perché in amore vince chi rugge
Ma forse al cuore non si domanda
Perché risponde dio

E all’improvviso mi accorgo
che non ci riesco mica
A reggere il mondo.

Io non la so la ricetta segreta
Della fabbrica di Atlanti.
So soltanto che la coca cola.

martedì, settembre 14, 2010

Il mio Principe Azzurro

(prima classificata pari-merito al Primo Poetry Slam di Genova, 27 Gennaio 2010)

IL MIO PRINCIPE AZZURRO


Ma di' soltanto una parola e io sarò salvato


Il mio principe azzurro è una puttana
Ama il prossimo suo agli angoli delle strade
E aspettando il prossimo, gli chiede 30 euro
Perché non sa cosa chiedergli, altrimenti
Dagli soltanto una parola, e lui sarà salvato.

Il mio principe azzurro porta una gonna rosa
E sotto ha le calze a 30 denari, ti ricorda qualcosa?
Mai ti tradirebbe per qualcosa che si può comprare
Anche se quando ha freddo talvolta bestemmia.
Dice soltanto una parola, e lui sarà salvato?

Il mio principe azzurro mi chiama "principessa"
E quando chiede carezze porge l'altra guancia
Lo sfioro senza decidere
Se sono mani di uomo o mani di donna
Vorrei che fossero mani di angelo, ma fremono di passione.
Cambia soltanto una parola, e io sarei salvato.

Il mio principe azzurro mi parla d'amore
Dice che l'amore si deve toccare
Dice che l'amore è fatto di te
E' nel silenzio che lo accolgo,
E' nel silenzio che ti accolgo, signore mio.
Non dire neanche una parola, e forse ti salverai.

giovedì, marzo 25, 2010

Dal punto di vista del Lupo

C'è un tempo da lupi, e un tempo per le confessioni. Ma, San Pietro Lupo, io sono innocente, e ti aprirò il mio cuore.
Ero a casa mia bello tranquillo a depilarmi, questa volta cercavo di perdere anche il vizio con il nuovo Lupette Pentalama; la quinta lama taglia il vizio e ne sradica pure l'albero genealogico eliminando suo padre, l'ozio, e suo zio, lo zio. Squilla il telefono ed è quella rompicoglioni della signora Iole Rosso, la nonna di Cappuccetto Rosso. Se c'è una parola che la può definire è: pignola. Una sua amica per farle gli auguri non è andata a dirle "In bocca al lupo"? E lei, pignola, subito a chiamarmi, come se ogni suo desiderio dovesse essere esaudito all'istante. Non voleva sentire ragioni, e allora poso il rasoio Lupette, mi lavo i denti, prendo un po' di bicarbonato e le dispense del corso di fachirologia, e mi reco dalla simpatica nonnina. Ora, ingoiare una spada può considerarsi un'operazione relativamente semplice, lama o non lama, è un po' come spogliare una Margherita. Ma ingoiare una nonna non è altrettanto semplice, soprattutto quando si dimena e pretende che non le si rovini la messa in piega (e celebrare una messa in piega non è facile neanche se il prete è un esperto motociclista, ma questo è un altro discorso). Però, San Pietro Lupo, ce l'ho fatta. L'ho ingoiata per intero e l'ho custodita nel mio stomaco, come originariamente pattuito. A quel punto avevo pure fretta, perché, oltre che finire di depilarmi, dovevo anche andare aldilà del fiume e raggiungere la pecora che col cavolo che tornava indietro. Era un'operazione che si preannunciava un po' lunghetta. Stavo per risputare la vecchia quando quella mocciosa di Cappuccetto Rosso suona alla porta. Allora in fretta e Furia mi vesto da Cavallo del West, anzi penso che sia meglio mettermi gli abiti della nonna per non spaventare la povera bambina e farla allontanare il più presto possibile senza che si impressioni. Ma lei attacca con le domande. Che occhi grandi che hai, che orecchie grandi che hai, che bocca grande che hai... Insomma ci provi lei a ingoiarsi una vecchia senza fiatare: un po' di dilatazione è il minimo che possa capitare, no? Insomma che la piccola discendente di Sherlock Holmes stava per scoprire il trucco, e così per prendere tempo, e non senza ulteriori difficoltà peristaltiche, ho deglutito pure lei. A questo punto fammi fare una considerazione: la Balena di Pinocchio passa alla storia per avere ospitato dentro di sé Pinocchio e Geppetto, applausi da tutti, urla di tripudio, e faccio notare che: 1) una balena è molto più capiente di un lupo, e 2) l'uscita di sicurezza della balena è quella sorta di sfiatatoio che si trova sopra la sua testa, mentre io, indovina un po' da dove pianificavo di far evadere le due prigioniere. Tra l'altro mi sembrava pure un bel gesto, visto che si lamentano sempre che non le caga nessuno. Beh, riassumendo: applausi alla balena, morte per il lupo, ma grazie! Grazie davvero. Infatti, mi stavo preparando al delicato processo di espulsione quando bussano alla porta quel ficcanaso del cacciatore e quel salame di suo figlio, il cacciatorino. Notevolmente appesantito vado ad aprire, li faccio accomodare, poi il piccolo mi dice: "Sai che cosa mi è successo ieri?". E io, per essere gentile: "No, spara!". 'Sto scemo non va a imbracciare il fucile e a fare fuoco? E io, sai che cosa ho fatto, San Pietro Lupo? Sono riuscito ad alzare la canna quel tanto che bastava per non farmi colpire al ventre. Ho condannato a morte certa me stesso, ma ho salvato le due donne. L'ho preso dritto al cuore, San Pietro Lupo. Dritto al cuore. Sono morto sul colpo; schizzi di sangue dappertutto, anche il cappuccio di Cappuccetto Rosso si è tutto intriso di sangue. E ora te lo posso dire, prima era bianco come la neve, e il suo soprannome è stato creato a posteriori per gettare una luce diversa sull'intera vicenda: il cacciatore ha estratto le due malcapitate dal mio stomaco e ha inventato la storia nota a tutti per scagionare lo stupido figlio e per coprirsi di immeritata gloria. Quanto a me, il mio corpo è disintegrato, e la mia memoria irrimediabilmente infangata. Dimmi, che ne sarà della mia anima? Dritto al cuore, San Pietro Lupo, dritto al cuore.

mercoledì, gennaio 20, 2010

Il Casino del Tempo Immobile

Bussai. TOC. Un colpo. TOC TOC. Due colpi. E via, dentro un casino a cui sarebbe stato d'azzardo mettere l'accento, e metto l'accento proprio sul fatto che l'azzardo era stato tornarci: era un casino di tempo che non ci andavo, nel Casino del Tempo Immobile.
Una volta entrato passai sotto una volta di cera modellata da resti di candele smorzate, che una volta non c'era ma in quel momento c'era. C'era una volta. E la favola ebbe inizio. Mi voltai di scatto e fotografai la situazione, poi bussai alla porta della prostituta. Era aperta.
All'interno rimasi stupito del caldo affresco che campeggiava sulle tende e sulle pareti della stanza, iconografia di rapporti sessuali che sembravano veri: un trombe-l'oeil eseguito con straordinario realismo.
C'era dipinto il risveglio dei cappuccini con la pratica della caffellatio, un caffè che alcuni ritenevano penoso ma era quello che passava il convento, tramandato oralmente da padre in padre.
C'era dipinta la scena 777, per non vedenti con lettura di capezzoli Braille e colpi dati alla cieca e restituiti dalla russa, una generosa roulette di piacere, espressiva ma muta, che si esprime a gesti osceni, o scemi come con il sub a cui la muta sta sempre addosso, e lui fa l'amore ma vuole stare sempre sotto.
Poi si scorgeva dipinta la posizione del giudice: donne latex-togate, a confessare colpe e farsi dare colpi, a invocare pene e venire accontentate, a ricorrere all'appello per partecipare a orge in ordine alfabetico.
Mute a donne mutevoli, colpi a donne colpevoli, malleoli a donne malleabili, il Papa a donne papabili, che morto un Papa se ne fanno un altro, amplessi accavallati, ingarbugliati, con precoci grovigli in cui tutti i nodi vengono al petting; maschi con semi precoci, femmine con seni procaci, ragazze rette con bellissime curve, ragazze rette ad angolo retto per spirito di squadra, gambe, giochi, cuori, mani, occhi accessibili e occhi sbarrati, alluci tesi e ipotesi di alluci, stati di alluci, alluci-nazioni, visioni, euro-visioni, funghi allucinogeni e funghi allupinogeni per aumentare il desiderio, alluci che fungono da funghi, funghi sugli alluci, cesti di funghi fratelli che praticano l'in-cesto, con i minori che risentono di amplessi di inferiorità; un complesso puzzle con voluttuosi incastri, schiacciati da colori pestello, colori accesi, concitati ed eccitati, superbo dinamismo ma ineffabile eternità.
Il suo godere era tangibile e non c'erano calcoli da fare per risolvere la sua espressione di godimento. La soluzione c'era ed era appunto sciogliermi, unirmi all'immensa forza evocativa dell'affresco, ero sopra di lei con tutto il mio peso, e non era capacità quella che mi permetteva di essere all'altezza, era proprio il liberarmi del fardello di misure e dimensioni e volare fuori dalla nostra dimensione con un cavallo a lato, e un alfiere sempre al centro, sulla scacchiera di un mondo nuovo, un mondo e-terno sulla ruota della fantasia, senza regole e di incerta dimensione: 3D? 2D? Un dì, forse, lo sapremo. Punto. Senza Dimensioni. Ma emozioni?.